È antica, anzi millenaria.

Le sue origini sono da ricondurre alla nascita della civiltà, quando l’uomo decise di abbandonare la vita da nomade e, dedicandosi all’agricoltura, iniziò a coltivare il grano: un cereale che, se ben macinato e unito all’acqua, poteva formare impasti sottili, da cuocere su pietre roventi.

Le prime attestazioni della pasta risalgono all’epoca classica (IV secolo a.C.) negli scritti di Aristofane in cui si parla del legano, un impasto a base di acqua e farina, tirato e tagliato a strisce abbastanza spesse. Questo prodotto conquistò la Roma di Cicerone e Orazio, dove ricorrono testi narranti di laganum, a indicare sfoglie di pasta, probabili antenate delle odierne lasagne. La sua ricetta appare anche nel “De re coquinaria”, uno dei testi di cucina più antichi al mondo, attribuito al poeta Apicio. Tra le testimonianze arrivate fino a noi c’è anche quella, datata 1279, del notaio genovese Ugolino Scarpa che nel redigere l’inventario degli oggetti lasciati da un marinaio defunto elencò anche una scodella di maccheroni. Si ha la testimonianza, inoltre, di Marco Polo che, di ritorno dal suo viaggio in Cina, nel 1295, portò in patria i tipici spaghetti che poco o nulla avevano a che fare con la pasta consumata, già prima di questo momento, nella Penisola.

Con l’epoca medievale, però arriva l’innovazione: la pasta si sviluppa in vari formati e cotture e, da una cottura più ancestrale, in stanze simili al nostro forno, si passa alla più moderna bollitura. L’origine del processo di essiccazione, tutt’oggi in uso, è da attribuire invece alle popolazioni arabe del deserto. Considerando che l’acqua a disposizione non era sufficiente per preparare pasta fresca ogni giorno, l’essiccazione consentiva ai pellegrini di conservare il più a lungo possibile la pasta durante i lunghi viaggi, i cui primi riferimenti si trovano in un manuale arabo del IX secolo d.C. in cui si legge di un particolare formato, simili a piccoli cilindri forati dal nome rista, antica versione dei maccheroni e tutt’ora utilizzata nelle cucine siriane e libanesi.  

Un ulteriore riferimento alle origini arabe della pasta secca si trova poi in uno scritto del 1154 in cui un importante geografo riporta la descrizione delle tria, una pasta suddivisa in diversi fili arrotolati, e in questa forma approdò in Sicilia dove venne battezzata triyah, e diffusa anche a corte e presso l’aristocrazia. Qui, grazie a Federico II, venne redatto e diffuso il libro arabo “Kitab al-Tabikh”, in cui sono citate anche le paste ripiene.

Fino a questo momento la pasta secca non si può definire completamente italiana, mutuata com’era dalle usanze del mondo arabo, che soleva condirla di formaggi e spezie e consumarla come contorno di piatti a base di uova, carne, pesce e verdure.

Risale al Rinascimento invece la distinzione tra pasta secca e fresca: la prima in voga tra i nobili per la sua lunga conservazione che ne permetteva un consumo “in caso di evenienza”, mentre la seconda era considerata più sana e più buona. I mulini più grandi ancora oggi hanno una nomea importante, e sono collocati in quel di Gragnano, Torre Annunziata e Castellamare. Gragnano nel Cinquecento venne riconosciuta come patria della pasta di grano duro. Al tempo la città subì addirittura dei cambiamenti urbanistici volti a favorire l’essiccazione della pasta, specialmente dei maccheroni. Fino alla seconda metà del XVIII secolo la produzione di pasta di semola veniva effettuata artigianalmente impastando con i piedi, metodo che fu felicemente impiegato fino a quando Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859, incaricò lo scienziato Cesare Spadaccini di inventare un processo meccanico. Le due rivoluzioni industriali contribuirono alla diffusione della pasta in tutto il mondo: risalgono infatti al 1870 i primi torchi idraulici che sostituirono il processo di lavorazione artigianale fino ad allora utilizzato. Ma la meccanizzazione fu graduale: solo alla fine del secolo scorso si completò il processo produttivo della pasta a livello industriale, con macchine mosse dal vapore o dall’energia idraulica. La prima macchina  brevettata, in grado di eseguire tutte le parti del processo produttivo, risale al 1933. Contemporaneamente agli inizi del Novecento, si assisterà allo sviluppo intensivo della produzione di pasta, sostenuto dalla crescita delle esportazioni. Il 1914 fu un anno record: 70.000 tonnellate di prodotto esportato, soprattutto negli Stati Uniti.

La Pasta al Pomodoro, ovvero l’Italia

Tra il XVII e il XVIII secolo Napoli versava in una condizione di tragica miseria dovuta al sovraffollamento demografico. Ciò spinse i napoletani a rendersi autonomi, e costruire le fabbriche di produzione della pasta secca con lo scopo di sfamare la popolazione cittadina. I vermicelli, cotti al dente perché più facili da condire, sono la prima tipologia di pasta che debutta sulle tavole del popolo, conditi con quello che c’era, principalmente pomodoro e basilico se si era in estate. Una volta terminato il periodo della fame, sul finire dell’Ottocento, nessuno volle più rinunciare a questo piatto tanto ben riuscito, e fu così che le abitudini alimentari quotidiane della collettività vennero stravolte, proprio dalla comparsa, sulle tavole, della pasta al pomodoro. 

Scienza e contemporaneità

Oggi la pasta è diventata uno dei simboli del Made in Italy: tra i condimenti più apprezzati, oltre all’intramontabile pomodoro, c’è quello col ragù di carne e, tra le ricette più comfort, la carbonara. La pasta è parte della cultura italiana, simbolo di un’italianità fatta di gusto e materie prime aventi per giunta anche una connotazione importantissima a livello sociale: un piatto di pasta rappresenta la famiglia stretta attorno al tavolo, all’interno delle mura domestiche, una condizione di condivisione che genera, essa stessa, felicità. Ma c’è di più: perché dalla scienza ci arriva una parte del significato che la pasta rappresenta, anche da un punto di vista neoronale: la pasta favorisce infatti la sintesi della serotonina (il neurotrasmettitore responsabile della sensazione di felicità) e della melatonina (quello preposto alla regolazione del sonno). 

Per questo motivo dopo un piatto di pasta capita di sentirsi appagati e, per appunto, felici.