A volte capita che scienza e gastronomia si incontrino e che lo status quo venga drasticamente sconquassato. È quanto potrebbe accadere a seguito del rivoluzionario studio del Morphing Matter Lab della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, che ha messo a punto quella che, a breve, potrebbe definirsi la pasta del futuro. L’obiettivo dello studio è infatti quello di ridurre gli imballaggi e l’uso di energia necessarie per portare in tavola il piatto a noi sì caro: la pasta.
I ricercatori dell’università hanno messo a punto un prototipo di pasta 2D che si presenta piatta e che, una volta a contatto con l’acqua bollente, assume svariate forme tridimensionali, dando luogo a formati simili a quelli convenzionali. Se dunque l’impasto rimane quello di sempre, ossia semola di grano duro e acqua, sulla sfoglia vengono impresse delle scanalature che, durante la cottura, fanno sì che la pasta si espanda, arricciandosi e ripiegandosi su se stessa, fino a presentarsi in formati simili a fusilli, conchiglie e altre classiche forme della tradizione. Tutto ciò, assicurano i ricercatori, senza che questo apporti alcun tipo di differenza sul prodotto finito, che in quanto ad aspetto, sapore e consistenza, si presenta come quello di sempre.
La “Morphing Pasta” ridurrebbe del 60% lo spazio di confezionamento e permetterebbe così di restringere gli imballaggi, di risparmiare spazio nello stoccaggio e nel trasporto e infine il tempo e l’energia necessari per cucinare. Secondo i ricercatori infatti, questo tipo di pasta cuocerebbe più velocemente di quella tradizionale e ciò permetterebbe di limitare l’impronta di carbonio in Italia, dove circa l’1% delle emissioni di gas serra proviene dalla cottura di questo alimento.