Formato di pasta ripiena tipica delle zone di Bologna e di Modena, oggi con questo nome si individuano tre tipologie di tortellini, tutti marchio PAT: il tortellino di Modena, quello di Bologna e quelli, fuori giurisdizione, di Valeggio sul Mincio (Veneto).
Origini
Quanto alle prime attestazioni del tortellino emiliano bisogna risalire a una pergamena del 1112 e a una bolla di Papa Alessandro III del 1169. Una leggenda narra, però, dell’arrivo, attorno al XIII secolo, in una locanda chiamata Corona, a Castelfranco Emilia, di una giovane e bella marchesina in cerca di una camera per riposarsi. Il locandiere accompagnò la dama in camera ma, attratto dalla sua bellezza, rimase a spiarla dalla serratura, rimanendo colpito dalla forma pressoché perfetta del suo ombelico. Al momento di preparare la cena, l’immagine lo aveva talmente ispirato da dare vita a questa pasta ripiena. Per altri, però, la stessa storia assume un valore divino vedendo, al posto della Marchesina come protagonista, la dea Venere. Anche Giovanni Boccaccio cita, nel celebre “Decameron”, i tortellini accompagnati da un brodo di cappone, storico compagno del formato di pasta, che ebbe nel mondo una risonanza tale da essere esposti addirittura in occasione dell’Esposizione Universale del 1904 di Los Angeles.
Quanto al tortellino di Valeggio sul Mincio, anche in questo caso dobbiamo riferirci a un’antica leggenda, che narra di come, verso la fine del Trecento, un soldato delle truppe viscontee accampatosi nei pressi della località veneta col suo esercito, si innamorò di una bellissima ninfa. I due, braccati, si rifugiarono nelle profondità del fiume Mincio lasciando ai loro inseguitori un fazzoletto di seta dorata che avevano simbolicamente annodato come pegno del loro amore. Da quel giorno le ragazze della zona, durante i giorni di festa, ricorderebbero la storia dei due innamorati confezionando i tortellini annodati in segno d’amore, una tradizione sancita ogni lungo il Ponte Visconteo, dove si svolge la grande Festa del Nodo d’Amore, una cena con commensali da tutta Europa accorsi a gustare il sapore di questa storia d’amore medievale.
Cucina
Ma, tornando in Emilia, sia Modena che Bologna ne hanno rivendicato la paternità e, nella disputa che ne è seguita, è stata sancita la regola aurea del tortellino, a partire soprattutto da suo ripieno. Questo, depositato per la prima volta il 7 dicembre del 1974 con atto notarile presso la Camera di Commercio di Bologna, in Palazzo delle Mercanzie, è ivi registrata come ricetta unica e più aderente al gusto classico del vero tortellino di Bologna. L’incipit di questa diatriba affonda nel solenne decreto ottenuto dalla Delegazione di Bologna dell’Accademia italiana della Cucina, nonché dalla Dotta Confraternita del Tortellino, che mise così fine a ogni recriminazione sull’atto di nascita del ripieno dello stesso. Le firme in calce sono quelle dell’allora Sindaco di Bologna, del Prefetto, e dell’industriale, nonché delegato dell’Accademia italiana della cucina. L’apertura al verbale afferma che “il documento attesta la ricetta del ripieno del vero Tortellino e garantisce i costumi gastronomici a venire di Bologna, dell’Italia e di ogni altro Paese che sappia vedere nella gastronomia un fattore di cultura, quindi di Civiltà” e afferma che il ripieno del celebre tortellino prevedeva che si avessero a disposizione lombo di maiale, Prosciutto crudo, Mortadella Bologna, Parmigiano Reggiano, uova e noce moscata. Ma la preparazione di questi ingredienti richiedeva molta cura e grande impegno: in primis, il lombo doveva essere fatto riposare per due giorni con un composto di sale, rosmarino, pepe e aglio e quindi cotto a fuoco lento nel burro e infine ripulito del battuto e tritato nel battilardo col Prosciutto, la Mortadella, il Parmigiano, le uova e un nonnulla di noce moscata. L’impasto così ottenuto avrebbe la necessità di riposare ancora, per almeno ventiquattr’ore, prima di essere utilizzato per riempire i tortellini. Nel frattempo, si usava ricavare un buon brodo di cappone ruspante e polpa e ossa spugnose di manzo necessarie alla preparazione del vero brodo di carne. Orbene, a questo disciplinare, che è anche una sonora presa di posizione, Modena ha risposto con la creazione di un marchio apposito, depositato anch’esso in Camera di Commercio, chiamato Tradizioni e sapori di Modena e di cui fa parte anche il tortellino, descritto nei termini di pasta ripiena tipica del modenese caratterizzata dal gustoso ripieno racchiuso da una sottile pasta sfoglia all’uovo, abilmente manipolata fino a modellarla nella classica forma che la leggenda vuole essere simile all’ombelico di donna. Tradizionalmente la sfoglia veniva lavorata dalle massaie impastando a mano sul tagliere farina e uova freschissime ed era poi “tirata” con grande maestria con l’ausilio di un matterello di legno di ciliegio, fino a farne una sottile pasta dorata e rotonda, soffice e profumata. Tagliata a quadretti la sfoglia, veniva riposto su ogni pezzo il ripieno e confezionati i tortellini, uno per uno, nella loro singolarissima forma. Ed è proprio qui che, forse, è possibile ravvisare la differenza del tortellino tra Modena e Bologna. Se Bologna infatti dedica una scrupolosissima attenzione agli ingredienti del ripieno, Modena tendenzialmente usa una minor quantità di Mortadella, Prosciutto e Parmigiano Reggiano perché qui i tortellini sono molto più piccoli, quasi in miniatura e per questa loro minuziosa caratteristica detti appunto “del dito mignolo”. Dei tortellini di Modena, del resto, ne parla anche Alessandro Tassoni nell’VIII canto della “Secchia Rapita”, un’opera che ci ragguaglia ulteriormente sulle altre specificità gastronomiche del modenese nel Settecento, che si dilettava anche nella preparazione di pappardelle, lasagne, frittate, trippe e arrosti di cappone. Oggi, benché i puristi ammettano solo i tortellini in brodo, non è infrequente imbattersi, anche presso i ristoranti più integralisti, in versioni di tortellini conditi con panna o crema di latte, così come nel pasticcio di tortellini. Nella località di San Lazzaro, alle porte di Bologna, è ammissibile condirli anche col ragù: cosa che per il bolognese è considerata, invece, un’aberrazione.