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APOLOGIA DELLA PENNA LISCIA

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Attorno alle penne lisce si è scatenato un vero e proprio casus belli.

Complice l’assalto ai supermercati dettato dall’ondata di panico generale, abbiamo assistito alla generalizzata discriminazione di uno dei formati più iconici della nostra tradizione: la penna liscia. Tutti abbiamo in mente le immagini degli scaffali depredati, delle corsie razziate e di quelle penne ancora lì… eroiche superstiti, perfettamente snobbate dagli avventori. In molti si sono eretti a difensori del formato bistrattato: chef pluripremiati, tenere e anziane nonnine e una corale pluralità di esperti variegati han testimoniato in loro favore. Anna Maria Pellegrino, presidente dell’Associazione Italiana Food Blogger, ha lanciato addirittura una campagna con l’hashtag #iostoconlepennelisce.

Insomma, è giunto il momento di fare chiarezza: penna liscia sì o penna liscia no?

Gennaro Esposito, due stelle Michelin a Vico Equense e volto noto della televisione, spiega a Vanity Fair: «Quella tra il liscio e il rigato in realtà è una vecchia questione che apre una spaccatura tra Nord e Sud anche per quanto riguarda la pasta. Storicamente a Nord ci sono i rigati e al Sud i lisci. E c’è una ragione storica che spiega questa differenza: la pasta secca al nord veniva prodotta rigata perché semplificava la lavorazione e sopperiva là dove non c’era abbastanza esperienza». E benché le penne siano una derivazione degli ziti campani, lunghi cilindri lisci che si usava spezzare con le mani, il loro atto di nascita viene però sancito al Nord: per la precisione l’11 marzo 1865 quando un produttore di pasta di San Martino d’Albaro (vicino Genova), Giovanni Battista Capurro, brevettò una macchina da taglio diagonale che permetteva di tagliare la pasta senza schiacciarla. Anche il nome ricorda il periodo in cui nacquero, furono infatti battezzate ‘penne’ in quanto il formato ricordava i pennini delle penne stilografiche del XIX secolo.

Quindi benché originarie del Sud, dove nacquero lisce, queste si acclimatarono soprattutto al Nord, dove conobbero una diffusione su larga scala in versione rigata. Quanto alla questione del sugo, è questa forse la più cogente per i consumatori; eppure si tratta di una percezione fondata solo in parte. Che la penna liscia che troviamo sugli scaffali dei supermercati trattenga il sugo meno efficacemente della sorella rigata tende ad essere una verità inconfutabile. Però, attenzione, una penna liscia di alta qualità, dalla superficie rugosa e cotta al dente sarà perfettamente in grado di trattenere il condimento, esaltandolo… sempre Esposito approfondisce la questione: «Il rigo rappresenta una notevole fonte di imperfezione: in cottura la presenza del rigo, che crea una sporgenza, fa sì che la pasta non sia cotta uniformemente e quando poi la saltiamo, la superficie del rigo si spappola e va a impastare il piatto. Quindi avremo non solo una pasta che non è cotta perfettamente, ma anche una pasta in cui l’amido interferisce con il sugo».

Insomma, il punto è sempre lo stesso: a fare la vera differenza è la qualità della lavorazione. Bisogna quindi rendere giustizia alla penna liscia: se fatta bene e cucinata con sapienza è anche superiore alla rigata.

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