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LA PASTA DI ALDO

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La Pasta di Aldo è una delle punte di diamante del settore quando si parla di pasta all’uovo, una realtà nata per riportare questo tipo di pasta alle origini, quando la produzione avveniva in casa e richiedeva soltanto ingredienti genuini, matterello e una buona dose di fatica per stendere la sfoglia alla perfezione. Una pasta che si caratterizza per un’impressionante resa in cottura e si presenta tenace, giallissima, contraddistinta da un intenso profumo di grano.

A dispetto di quanto possa suggerire il nome, i proprietari sono due: Luigi Donnari e la moglie Maria Alzapiedi, che quest’attività l’hanno iniziata come un hobby nell’incantevole borgo di marchigiano di Monte San Giusto e oggi distribuiscono i loro formati di pasta lunga in 32 paesi nel mondo.

Una lunga, lunghissima chiacchierata con Luigi Donnari ci ha portato ad abbandonare il format tradizionale di questo tipo di interviste, per spaziare tra i numerosi argomenti e spunti di riflessione offerti da Luigi, molti dei quali riguardano il panorama della pasta e meno quello strettamente aziendale.

Come nasce il vostro pastificio?

«‘Al’ e ‘do’ sono le iniziali dei nostri cognomi. All’inizio facevamo la pasta per hobby, ma immaginavamo sempre che un giorno avremmo aperto una vera e propria attività. Mia moglie disse: “quando avremo un’azienda la chiameremo Aldo”, cosa che inizialmente mi fece preoccupare» ammette Luigi ridacchiando.

«Abbiamo investito tanto negli strumenti per la costruzione della pasta, abbiamo dovuto inventarcelo il modo per fare la pasta come si faceva un tempo». E in effetti Aldo e Maria detengono un vero e proprio brevetto a tutela del loro metodo di produzione della pasta all’uovo. Un metodo che ha richiesto anni di ricerche per essere messo a punto, che oggi prevede l’utilizzo di strumenti di lavoro e macchinari disegnati da loro stessi.

«Il problema è che dal dopoguerra chi fa la pasta lo fa in modo industriale. Le grandi aziende la industrializzarono senza tenere conto delle regole suggerite dalla tradizione, contava solo la quantità. In quel periodo selvaggio dell’industria che pensava solo a produrre tanto, però la pasta aveva ancora un contorno di genuinità. Il grano non era ancora prodotto da un’agricoltura intensiva come può essere quella di oggi, lo stesso dicasi per le uova. Negli anni il processo si è sempre più meccanizzato, arrivando a non tenere più conto del fattore umano, della maestria di chi la pasta l’aveva fatta per tutta la vita. Hanno creato la trafila per industrializzare la pasta all’uovo e ancora oggi c’è tutta questa gara tra chi trafila al bronzo, al teflon e via dicendo, con la gente che in questo modo è convinta di mangiare una pasta fatta all’antica; ma in passato la pasta veniva fatta in casa, non c’era proprio nessuna trafila».

la pasta di aldo

«Io sono nipote di una nonna che mi ha insegnato come fare la pasta, è stando con lei che imparavo i segreti e i concetti di una buona pasta all’uovo. Io e mia moglie per passione abbiamo dunque iniziato a informarci, a cercare di ottenere quella stessa qualità. Per prima cosa abbiamo tolto la farina e messo la semola. Per la legge italiana non puoi chiamarla pasta all’uovo se ci metti la farina di grano tenero, inoltre, in un kilogrammo di semola, ci devono stare almeno quattro uova. È una legge perfetta, che viene attentata dagli altri paesi europei; fortunatamente le nostre multinazionali proteggono questi principi. Tutti combattono la pasta industriale, ma cosa vuoi combattere? Quella ha un potere enorme e la sua potenza permette di proteggere tutti. Se siamo frammentati non siamo nessuno di fronte al legislatore europeo e mondiale, ma una grossa multinazionale sì ed è quella che protegge il mondo della pasta di qualità. Difenderò sempre le nostre multinazionali.

Nel mondo, la pasta è considerata il patrimonio per eccellenza dell’Italia, non il vino o l’olio che vengono prodotti anche altrove. Se si vuole comprare della pasta di qualità, si compra quella italiana. Capisce quanto è importante? La pasta identifica l’Italia.
Laviamoci i panni sporchi in casa nostra e intensifichiamo i controlli piuttosto che farci la guerra in casa; arrabbiamoci quando qualcuno si spaccia per produttore di nicchia e poi fa le porcherie, spesso poi mandandole all’estero e rovinando così la nostra immagine. Noi dobbiamo tutelare la nostra immagine, il mondo ha bisogno del Made in Italy e lo desidera. Io mi sento addosso questa responsabilità, i soldi sono l’ultima cosa alla quale bisogna pensare. Sempre più abbiamo invece l’onere di promuovere una politica legata al territorio e alla qualità. Ai nostri figli sennò cosa lasciamo? La terra bruciata?
»

Tornando alla vostra pasta e alla nascita dell’attività…

«Ci siamo resi conti che la pasta all’uovo non era prodotta come nella tradizione casalinga, tutti cilindravano e nessuno utilizzava più la fontanella come mi aveva insegnato nonna. Però c’era la farina di grano tenero, che richiede un processo completamente diverso, e a quel punto ho iniziato a studiare e fare esperimenti con i vari tipi di grani. Ho capito che alla base di tutto c’era il mulino, del quale si parla troppo poco. La farina è l’argento, ma la semola è l’oro. Quando ho capito questo, ho iniziato a studiare l’impasto con le semole da varietà di grano diverse, richiedendo ai mulini tagli diversi da quelli prodotti normalmente. Il taglio del chicco di grano duro è complicato, non si schiaccia. Ed è proprio nel taglio che risiede il segreto del mulino, che può dare vita a una semola più piccola, o più grande.

Abbiamo così iniziato a fare i primi formati e pensi che li asciugavamo al sole, come un tempo si faceva a Gragnano. Poi abbiamo creato il nostro primo piccolo laboratorio per metterci in regola. Lì facevamo 2-3 kg di pasta al giorno. Ci siamo migliorati e siamo cresciuti, mettendo a punto il metodo Al+Do che si avvicina tantissimo a quello casalingo, ma permette comunque di produrre sette quintali di pasta al giorno. Col passaparola siamo arrivati a esportare in 32 paesi, una piccola produzione che oggi finisce sulle tavole dei clienti più prestigiosi. Noi siamo in 10, produciamo al massimo 7 quintali al giorno; un altro pastificio con questi numeri può arrivare a produrre anche 30-40 quintali. Capisce dove sta la differenza?».

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