Luca Gubelli, chef classe 1972 è di origini milanesi. Dopo importanti esperienze nazionali tra cui come chef presso il Ristorante Orti di Leonardo a Milano e al fianco di Paolo Vai al ristorante Cavallo Bianco, è oggi alla guida dei ristoranti Summit Restaurant e Cliffhanger’s Grilldell’ dell’Active Luxury Resort CampZero a Champoluc in Valle d’Aosta.
Lo chef propone una cucina del territorio in grado di dialogare tra diverse culture, principalmente orientali e provenienti dal nord europa.
Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria, quello che cucinava tua madre?
«Il piatto che mi ha sempre fatto sognare è quello della nonna Gina: cavatelli di semola fatti a mano, conditi con un ragù d’agnello… aspettavo la domenica per volare!».
Quanto la tua zona d’origine ha forgiato il tuo repertorio?
«La mia zona d’origine direi molto poco, perché iniziando da giovanissimo a girare l’Italia lavorando in hotel, mi sono formato in modo trasversale. Ad ogni modo, mi piace legare la composizione dei miei piatti, al territorio in cui mi trovo, anche scovando i piccoli produttori locali con prodotti eccezionali».
Tra questi qual è quello che ti rappresenta di più nella tua identità di uomo e di cuoco? E per quale motivo?
«In un mondo culinario in rapida evoluzione, pieno di nuove tendenze, mi trovo sempre più attratto dal mondo vegetale: raccolgo con stimolo la sfida di creare nuovi piatti anche plant-based, cercando di renderli interessanti e sfiziosi, senza far rimpiangere le proteine animali. Il motivo? Credo che anche in cucina ci sia bisogno di perseguire la sostenibilità e lavorare sempre più verso il rispetto e l’amore per il nostro pianeta».
Che tipo di pasta proponi nel tuo ristorante? E se l’acquisti, da quali produttori ti rifornisci?
«Tendenzialmente preferisco utilizzare paste fresche, ma per alcuni formati tipo gli spaghettoni uso il marchio Felicetti. Come paste speciali, uso la pasta di mais bianco di Bontasana».
Liscia o rigata?
«Liscia e trafilata al bronzo».
Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può essere considerato un vero e proprio tabù?
«Formato e condimento, sono spesso le basi nelle ricette della cultura italiana, che sappiamo essere molto attaccata alle tradizioni. Il formato senza dubbio traccia una guida sul condimento, e può incidere sulla resa del piatto. Tuttavia in cucina non deve essere un vincolo, ed è giusto giocare con la creatività e sperimentare, facendo certamente attenzione a come si interagisce con le ricette tradizionali, se proposte come tali».
Come immagini la pasta del futuro?
«Mi auguro che sia sempre più sostenibile e di qualità, che si dia risalto alle produzioni di nicchia, che fanno ricerca nell’utilizzo di grani antichi e puri. Mi auguro soprattutto che tutta la filiera della produzione del grano, che ad oggi ha un alto impatto ambientale, diventi sempre più attenta all’ambiente».