Di Gianluca Gorini al Dagorini.
Servito alla fine del menù degustazione, lo spaghetto di Gianluca Gorini è un’esplosione, che, letteralmente, stende l’ospite in un k.o. di sensi. Del resto è concepito per azzerare le papille gustative con un’onda d’urto spaventosa, che somiglia alla carica, sia metaforica che letterale, di una capra appena uscita dal bosco: una capra che ha fatto incetta, per la precisione, di radici, cortecce e d’altre forme boschive d’amarezza. L’amaro, qui, è quello purissimo della genziana che si unisce a quello chiaramente più agrumato del bergamotto, proiettando la percezione in una dimensione di gusto praticamente infinita. Gli spaghetti sono appena al dente, perfettamente ed uniformemente cotti, mantecati e insospettabilmente puliti in superficie. Apparentemente sembrano quasi sconditi, come a ricordare idealmente ed ironicamente, quelle spaghettate di mezzanotte fatte tra amici, benché qui con un livello d’astrazione e concentrazione aromatica mai lambito prima. Gorini, del resto, è stato uno dei primi a servire lo spaghetto in chiusura di menù, restituendoci una grandissima performance che, al formato di pasta più popolare italiano, consegna le chiavi dell’avanguardia.