Chef e proprietaria dal 2014 del ristorante L’Argine a Vencò a Dolegna del Collio, Antonia Klugmann è senza dubbio una delle donne simbolo della ristorazione italiana. Premiata dalla prestigiosa guida Michelin con una Stella, la cucina della chef friulana fa della territorialità il proprio vanto e della prevenzione degli sprechi una priorità, con ingredienti e sapori che giocano in delicato equilibrio sul filo che separa il dolce dal salato.
Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria?
Quando penso alla pasta mi vengono in mente diecimila cose diverse: ripenso a quella fatta da mamma, a quella preferita dai miei nonni; ogni membro della famiglia aveva il proprio piatto. L’amore di mia madre per la tiella e la pasta al forno per citarne alcuni, o le lasagne e le tagliatelle al ragù di nonna Klugmann che era ferrarese. A Trieste storicamente si mangiava la busara, spaghetti conditi con salsa di scampi e gamberi o cicale di mare. Noi bambini ci sporcavamo sempre con i carapaci, perciò la nonna portava in tavola una ciotola di acqua e petali di rosa per pulirci. Ricordo ancora il profumo, sono ricordi splendidi.
Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio?
Sono profondamente legata alla mia famiglia, quindi i miei ricordi di infanzia hanno influito tantissimo. Da bambina ho passato tanto tempo con i nonni perché mamma lavorava; erano momenti gioiosi quelli che trascorrevo con loro e provo ancora oggi la stessa sensazione nel preparare i piatti che mi rievocano quei giorni. Nessuna malinconia, nè tantomeno alcuna forma di timore reverenziale: mi sono sempre sentita libera di pensare al futuro senza condizionamenti. Tutto ciò si riflette poi nella cucina, dove si forma una sorta di territorio interiore che è il prodotto della relazione tra tutto quello che hai assaggiato nella tua vita e la storia e la tradizione del territorio che ti circonda.
Quali sono, o sono stati, i piatti di pasta più significativi nella tua storia professionale?
Una mia fissazione è l’utilizzo della frutta nel mondo salato. Una contaminazione che devo molto all’ubicazione del mio ristorante e in generale alla tradizione del Nord-Est italiano.
Questo connubio è ben presente nello Spaghetto di fragole, pomodoro e aglio orsino, o nel Cappelletto di cinghiale in brodo di prugne, e infine ritorna nell’ultimo nato, entrato in carta a fine estate, il Cappellino mantecato in brodo di arancia con tuorlo poché, bottarga di zucca, acetosella e melissa. Un piatto che si basa tutto sugli amari e i sapidi, sostanzialmente vegetariano. In un menù di 10-12 portate si rende fondamentale distribuire le proteine in maniera sensata. Devo dire che negli ultimi dieci anni è sempre stato presente nella mia cucina un uso massiccio di verdura e frutta per dare vita a menù che fossero facilmente digeribili. Cerco di equilibrare le componenti e credo in un approccio che ricerchi il più possibile la sostenibilità, espressa attraverso l’attenzione agli sprechi e la valorizzazione di ingredienti comuni, ma che nel piatto trovano un’espressione totale.
Trovi che sia legittima una gerarchizzazione della pasta in base al suo formato? Mi spiego meglio: ritieni che esistano formati più popolari (da trattoria o da bistrò) e altri più elitari (da fine dining)?
No, non credo. La storia della cucina contemporanea ci insegna come anche i formati più comuni siano stati spesso rivisitati e ripensati in chiave nuova. dimostrazione di come la pasta, che appartiene da sempre all’italiano, possa essere ancora un luogo di scoperta. Questo è forse l’aspetto che trovo più interessante della pasta: anche quando sembra che sia stato detto tutto, in realtà è un mondo aperto a ogni tipo di interpretazione.
Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?
Anche confrontandomi con i colleghi, mi rendo conto di come ciascuno di noi abbia la propria opinione circa quelli che ritiene siano i formati migliori. La consistenza, la capacità di resistere in cottura, la mantecatura: sono tutte variabili che è possibile sfruttare in maniera diversa. Non esiste il formato perfetto, esiste il formato perfetto per ciò che tu stai cercando in quel momento specifico.
Come immagini la pasta del futuro?
Per me la cosa più interessante in questo momento è la cottura in brodi particolari. Da poco ho fatto un brodo di tartufo nero in cui ho cotto dei rigatoni e che ho poi usato per tirare la pasta; piuttosto che i brodi di frutta, elementi fondanti della mia cucina.