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ANTONIO GUIDA

Dal 2015 alla guida di Seta, il ristorante del Mandarin Oriental di Milano che nel giro di un anno ha portato ad ottenere due stelle Michelin, Antonio Guida è oggi uno degli chef più acclamati dalla critica. Salentino, classe 1972, in cucina riesce a fondere alla perfezione le radici pugliesi con l’influenza derivata dalle sue esperienze blasonate in giro per il mondo. Pierre Gagnaire a Parigi, Enoteca Pinchiorri a Firenze, Don Alfonso a Sant’Agata sui due Golfi, La Terrazza Hotel Eden di Roma nel 2000 e infine executive chef de Il Pellicano di Porto Ercole, dove nel 2004 e poi nel 2010 ha collezionato due stelle Michelin e tre forchette dal Gambero Rosso.

Qual è il primo piatto di pasta di cui hai un ricordo? 

«Le Sagne ‘Ncannulate, un piatto della tradizione salentina, la mia terra. Le sagne sono tagliatelle avvolte su loro stesse, condite poi con pomodoro e cacioricotta. Per tante famiglie del Salento, questo piatto rappresenta il pranzo della domenica e mi riporta all’infanzia, alla mia terra e alla mia famiglia». 

Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio? Quanto lo influenzerà in futuro? 

«Sicuramente mi ha forgiato tantissimo, tutto è partito da li: ho sempre cercato di conoscere il più possibile i prodotti del territorio e le preparazioni regionali. Poi, viaggiando per il mondo ho scoperto nuove tecniche e prodotti che mi hanno permesso di ampliare le mie conoscenze». 

Quali sono, o sono stati, i piatti di pasta più significativi nella tua storia di Chef? 

«Direi le Sagne ‘Ncannulate con trippa di vitello, gamberi e caffè di cicoria; lo Spaghetto con crema di sgombro, prezzemolo e anguilla e i Ravioli farciti con passatelli, brodo di piccione e tartare di manzo».

Oltre a Seta la tua cucina gestisce il servizio del Bistrot e quello dell’Hotel. Hai riscontri su formati di pasta più adatti ai servizi più informali del bistrot e dell’hotel, e di altri più attenti al mondo fine dining?

«No, perchè a cambiare è la preparazione. Al Bistrot proponiamo una cucina più tradizionale (per esempio, in carta si trova un grande classico come gli Spaghetti all’Amatriciana) mentre al Seta più di ricerca». 

Tra i piatti attuali ce n’è almeno uno che, in particolare, ti rappresenta nella tua identità di uomo e di cuoco? 

«Direi il Germano reale con crema di cipollotto e chartreuse, per la sua tecnica sia nellafarciturache nella cottura. E’ un piatto avvolgente, con una crema di cipollotto aromatizzata alla salvia e un fondo leggermente acidulo e speziato con un po’ di cardamomo nero». 

Uno dei tuoi signature dish è la Lièvre à la Royale, riconoscibile tra cento per la ruota pazza posizionata a finire la lepre: ci spieghi il motivo di questa scelta, quasi dissacrante, di inserire la pasta nella Lièvre?

«Da salentino, ho voluto portare un tocco della mia terra in una preparazione francese. La salsa è leggermente alleggerita e guarnita con una pasta che ho scelto per la sua “carnosità”».  

Formato e condimento: il rapporto è delicato, è percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure si può forzare quello che, a tutti gli effetti, può esser considerato un tabù?

«A noi cuochi piacciono le sfide, amiamo alzare l’asticella. Direi che non c’è un formato che si abbini esclusivamente ad un determinato tipo di sugo: seguendo alcune accortezze e con un po’ di fantasia, si possono realizzare combinazioni interessanti. Culturalmente, ci sono poi formati di pasta che richiamano un certo tipo di sugo (penso ad esempio alle Orecchiette alle cime di rapa) ma non è una regola».

Come immagini la pasta del futuro? 

«Spero che in futuro tutti abbiano la possibilità di utilizzare solo pasta di grande qualità».

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