Vincenzo Vottero è stato proprietario e chef al ristorante Vivo Taste Lab di Bologna. Fin da piccolo Vottero manifestava una forte passione per il mondo della cucina, che ha sempre interpretato con un gusto personale, spesso definito dalla critica come barocco. La sua formazione incomincia al Palace di Bologna e prosegue con uno stage a fianco di Gualtiero Marchesi, non tralasciando incursioni all’estero, come la parentesi trascorsa al Ristorante Mama Avati’s, di cui è stato, oltre che chef, anche General Manager. Per anni ha poi lavorato all’Antica Trattoria del Reno di Bologna, esperienza che lo ha portato a maturare la propria idea di cucina e il proprio stile vigoroso, audace e creativo.
Cosa rappresenta la pasta nella sua cucina?
Sono nato a Bologna, a sei anni chiudevo i tortellini con mia madre, con il tagliere appoggiato sul piano di marmo di un tavolo che aveva un buco per alloggiarvi il mattarello. Mentre lei lavorava, io ne mangiavo una gran quantità crudi, facendola arrabbiare moltissimo.
Questo per dire che per me la pasta rappresenta le radici, la tradizione più profonda, quella dalla quale parte e si sviluppa tutta la mia ricerca e sperimentazione.
Meglio lunga o corta (per quale motivo)?
Meglio quella più adatta al piatto che si vuole creare. Uno spaghetto di semola di grano duro con le vongole. Una gramigna all’uovo con la salsiccia. E via dicendo. Mi piace utilizzarle tutte. La tradizione ci insegna ad utilizzare decine di formati diversi per ottenere altrettante ricette regionali.
All’uovo o di grano duro (per quale motivo)?
Le mie radici mi legano fortemente alla pasta all’uovo, soprattutto a quella ripiena.
Il tortellino e il tortellone. Per un bolognese doc profumano sempre d’infanzia e di casa della nonna.
Ripiena? (Se sì, come)?
Carni, formaggi, pesci ma anche verdure. Il rispetto della tradizione non deve mai divenire un dogma. Le regole accademiche nel mio immaginario rappresentano ostacoli alla creatività, che per sua definizione rifugge ogni tipo di imposizione.
Il primo ricordo di Vincenzo Vottero legato alla pasta…
La mia prima zuppa imperiale, servita da mia zia Aurora, in una di quelle grandi tavolate domenicali con i parenti. Non la conoscevo ma ne avrei mangiata a tonnellate.
La zuppa imperiale non è una vera e propria “pasta”, ma a Bologna viene consumata come primo piatto ed è un concentrato di gusto. Un vero e proprio “comfort food” di casa nostra.
Una ricetta
Il Raviolino di Baldo, nato grazie a Baldo Baldinini, da me soprannominato “l’ultimo speziale d’Italia”, una persona che stimo molto, a cui voglio bene.
Mi regalò un giorno un pecorino di fossa pregiato, davvero un grande prodotto; lo presi come ispirazione per fare un piatto che ho costruito con gli elementi del classico aperitivo al banco di un cocktail bar: formaggio, anacardi, bitter, scorza di limone…un omaggio a questo incredibile personaggio e professionista.
“Ingredienti per 4 persone:
1 kg farina tipo 0
10 uova fresche
1kg di formaggio di fossa grattugiato
500 ml di panna
130/140 ml di succo di salvia estratto a freddo
olio alla scalogno q.b.
burro q.b.
cime di catalogna
anacardi
scorza di limone
sale
saba ( mosto cotto)
½ litro di Bitter Di Baldo Baldinini
20 gr di Kuzu o Xantana emulsionare a freddo
Preparazione:
Con l’estrattore passate la salvia fino a raggiungere la quantità desiderata. Mettete tutti gli ingredienti del ripieno nel frullatore Bimbi e frullate a 100°C per 5/6 minuti alla massima velocità. Mettete il ripieno in abbattitore per raffreddare a 2°C.
Preparate i raviolini, tirate la sfoglia, tagliate dei rettangoli di 3×3 cm e mettete un po’ di ripieno di salvia e formaggio su ogni quadrato. Chiudete a rettangolo o triangolo.
Al momento del servizio saltate in padella, con olio allo scalogno, una noce di burro, cime di catalogna e anacardi, precedentemente tostati in forno a 90°C con olio allo scalogno, sale e scorza di limone. Al momento dell’impiattamento, guarnite i raviolini con qualche goccia di saba e gel al bitter Di Baldo.