Originario di Sarzana, ma oramai bolognese di adozione, Alessandro Panichi è cresciuto professionalmente circondato da grandi nomi: Gualtiero Marchesi, Paolo Lopriore, Silvio Salmoiraghi… Oggi guida il ristorante Sotto l’Arco di Villa Aretusi, un affascinante angolo seicentesco alle porte di Bologna.
Qual è il tuo primo ricordo legato alla pasta?
Io sono ligure e l’odore e il sapore del pesto sono indelebili nella mia mente. Quanto l’odore della conserva di pomodoro e basilico che mamma e papà facevano in estate, in garage, e che ci bastava poi per tutto l’anno.
Cosa rappresenta la pasta nella tua cucina?
La pasta nella mia cucina – ma penso in tutte le cucine italiane – è ricordo, gusto, consistenza legata alle proprie origini. Non per niente il piatto di pasta che più mi ha colpito è “La consistenza delle paste” di Gualtiero Marchesi che, con poche forchettate di pasta al pomodoro di vari formati, fa riflettere sulle consistenze legate al formato.
Meglio lunga o corta e per quale motivo?
Dipende proprio dal piatto e dal tipo di sensazione gustativa che vuoi comunicare, ogni formato ha il proprio valore. Mi viene da pensare al risone, che come consistenza è agli antipodi rispetto al concetto di “al dente” e, dunque, proprio per questo interessante.
All’uovo o di grano duro, per quale motivo?
Ormai da dieci anni lavoro a Bologna, regno della pasta all’uovo che è sempre presente nei miei menù.
Ripiena o no?
Ripiena… immancabilmente.
Un piatto di pasta significativo nella tua storia professionale?
Il tortellino, simbolo di Bologna, che ho interpretato mescolando i due modi consentiti di degustarlo: in brodo e alla panna. Come? Creando una spuma al sifone bianca come la panna, ma non avviluppante e contraddistinta dal sapore del brodo, ottenuto partendo da un brodo di cappone ridotto di dieci volte fino ad arrivare alla sua naturale sapidità: un’aggressività che serve a sostenere la morbidezza della panna.