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La Tagliatella d’Oro: patrimonio felsineo

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Di Loris Denti Tarzia

L’oro dell’Emilia

Se dico la parola tesoro, cosa vi viene in mente? 

Pescando dall’immaginario collettivo, assemblato da opere letterarie del calibro de “L’isola del tesoro” di Stevenson, probabilmente verrebbe fuori un forziere antico in legno, saldamente rinforzato da lastre in ferro e da un lucchetto forgiato per proteggere il contenuto: pietre preziose, monete e quantità indicibili di oro zecchino

A detta di ciò, se dovessimo invece metterci alla ricerca di un tesoro gastronomico, la X della mappa segnerebbe la capitale della cucina felsinea

La tagliatella d’oro

È il 16 aprile 1972 quando Francesco Majani e Alcino Cesari, rappresentanti dell’Accademia della Cucina Italiana, depositano presso l’antico Palazzo della Mercanzia di Bologna un piccolo scrigno in legno. Al suo interno, la raffigurazione in oro di una tagliatella: gioiello culinario incastonato nella tradizione bolognese. Un gesto emblematico, attuo a trasformare ciò che prima era affidato all’occhio esperto delle massaie in una regola ben definita.  

La canonica larghezza della tagliatella diviene quindi di 8 millimetri: un numero ben preciso, che traccia il confine tra il tagliolino e la pappardella. 

Misura nata da un legame alquanto misterioso con uno dei palazzi storici del capoluogo emiliano. Il numero millimetrico corrisponde alla 12.270 millesima parte della Torre degli Asinelli: monumento identitario che svetta verso il cielo coi suoi 97 metri d’altezza. 

La Tagliatella d’Oro è quindi un titolo ad honorem concesso alla tradizione gastronomica bolognese, custodito gelosamente nella Camera di Commercio, nel cuore della città. Questo organismo raffigura un caso unico in Italia, essendo diventato il depositario di ricette che costituiscono il patrimonio culinario della zona. Il campione dorato non è solo un’opera d’arte, ma anche un’icona della cultura locale, tramandata di generazione in generazione. 

Il suo valore è tanto estetico quanto simbolico: rappresenta l’eccellenza e l’autenticità della cucina bolognese, nonché la reincarnazione della maestria delle sfogline che lavorano con passione per preservare le antiche tecniche di produzione della pasta fresca. 

Questa regola aurea detta legge solo sulla larghezza senza decodificare né la lunghezza né lo spessore; anche se la tradizione vorrebbe quest’ultimo tra i 6 e gli 8 decimi di millimetro. 

un esempio non isolato

Al suo seguito si sono aggiunti molti altri depositi gastronomici: dall’iconico ripieno dei tortellini nel 1974 fino alla ricetta del religioso ragù nel 1982. Non sono mancate poi altre preparazioni meno note al di fuori delle mura petroniane come il cotechino fasciato, gli stecchini fritti, il friggione o la zuppa imperiale. 

Un vademecum culinario, usato anche dalla Corte di Cassazione nel 1980 per stabilire come solamente la tagliatella che corrisponde a questi specifici canoni può essere nominata come “bolognese”. Da ben 52 anni, questo unico esemplare ambrato ricorda ai gourmandise un motto semplice quanto importante.

“Chi trova un piatto di tagliatelle fatto bene, trova un tesoro.” 

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