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Luca Natalini e la sua Cucina di Mercato

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“Tutte le mattine mi reco al mercato” 

Paul Bocuse

Basterebbe questa semplice citazione di Paul Bocuse per inquadrare lo spirito e la filosofia gastronomica di Luca Natalini: giovane talento del panorama contemporaneo. Dopo aver calcato i palchi di diversi palinsesti televisivi, è riuscito a consolidare la sua reputazione nel settore con una cucina fortemente identitaria e personale. 

Ma la sua storia, come tutte le altre, parte ben prima del suo successo.     

L’inizio 

Spesso quando si introducono gli esordi di uno Chef, viene quasi sempre a galla il ricordo di un parente davanti ai fornelli. Una sorta di passaggio del testimone in cui il futuro cuoco eredita la passione per la materia. Ma in questo raro episodio, le cose sono andate diversamente.

Sì, perché Natalini non inizia la sua militanza ai fuochi spinto da una memoria ancestrale legata ai sapori d’infanzia, ma da un fallimento. 

Di solito si parla di nonne, zie, parenti, di ricordi sul cibo. Invece io mi sono approcciato per la prima volta al mondo della cucina all’ età di 13-14 anni. Mi piaceva invitare i miei amici a casa e preparare pranzi e cene per loro, anche cose davvero semplici e banali. Ricevevo sempre un sacco di complimenti e pensavo, in maniera molto ingenua, di essere un professionista”.  

Quindi d’estate mi sono trovato un lavoro in una gastronomia molto rustica. Un disastro totale. Dopo cinque minuti dall’inizio del servizio mi hanno cacciato dal ristorante. Grazie a quel memorabile battesimo del fuoco avevo capito che, forse, era meglio andare a imparare il mestiere da quelli bravi. Così sono partito per la Francia”. 

Accompagnato da un desiderio quasi di rivalsa, lo Chef inizia il suo pellegrinaggio nell’Oltralpe per carpire i segreti dell’alta cucina. 

Una volta uscito dall’Italia, ho girato per diverse realtà francesi, da quelle blasonate a quelle meno importanti. Sia chiaro, non sono mai stato ai fornelli delle grandi Maison come l’Arpege, non ho mai avuto istruzioni trascendentali. Ho semplicemente attinto dal mondo del Bello e del Buono per trovare il mio personalissimo stile di cucina”.  

Poi, nel corso degli anni, ho ripulito la mia tecnica fino ad arrivare a una semplice conclusione: quello che realmente conta è la grande accoglienza e il grande gusto della materia prima. Tutto il resto è solo un contorno”. 

PH: Lido Vannucchi

Autem 

Ritornato in patria, Natalini affina le sue capacità fino ad aprire una propria insegna. Un luogo in cui esprimere la sua personale visione culinaria legata in maniera intrinseca alla stagionalità. Nasce così la sua cucina di mercato. 

Molti mi chiedono da dove nasce il concetto di cucina di mercato. Ma questa semplice domanda ha una risposta molto lunga e articolata. Tutto è iniziato quando ho fatto partire i lavori per il ristorante nel 2021. Ci sono state diverse problematiche e ho dovuto attendere due anni prima di aprire. Il primo maggio del 2023 era tutto pronto: la brigata, la cucina, i tavoli e anche le prime prenotazioni. Ma non avevo più soldi per permettermi dei fornitori”.  

“Quindi ho fatto una lista a penna, ho raccattato qualche decina d’euro e sono andato al mercato per comprare gli ingredienti necessari per arrivare a fine giornata. Da quel giorno siamo sempre pieni. Così è nata la mia Cucina di Mercato. Così è nato Autem.

Il nome del locale reincarna la volontà di creare un filo rosso tra la cucina e il commensale, sradicando qualsiasi barriera mentale e architettonica.  

La parola Autem è una congiunzione latina. A me piace identificarlo come un cerchio perfetto ma mai chiuso. Dal primo giorno fino a oggi, io e la mia squadra abbiamo fatto mille cambiamenti, di qualsiasi tipo, sempre però partendo dal presupposto di migliorare l’esperienza del cliente. Noi dobbiamo essere dei perfetti contorni di quella che è l’esperienza del commensale. Anche perché il ristorante nasce per quello”.

PH: Lido Vannucchi

 Il futuro è dell’Oste 

Una centralità quasi religiosa verso l’ospite. Ma la vera arte dell’accoglienza Natalini la capisce provandola sulla propria pelle.   

Tra le tante tavole che ho provato, quella della Maison Pic è stata la più sensazionale. Ho i brividi ancora a pensarci. Uscito da lì mi sono reso conto di non aver capito nulla in 20 anni lavorativi. Mi ha insegnato che bisogna mettere l’ospite al centro di tutto”. 

Un professionista del settore che, nel corso delle sue esperienze, ha coltivato una forte sensibilità verso il Bello e il Buono, fino ad avere un’idea ben chiara del futuro della ristorazione.

Per me il nuovo concetto di cucina, quello che sarà nei prossimi anni, graviterà moltissimo attorno al concetto dell’accoglienza. Quello permetterà di fare un grandissimo passo avanti. Mi verrebbe quasi da dire che il futuro sarà dettato dall’arte dell’Oste. Questo, secondo me, è dove andrà il fine dining”. 

Voglio finire con un consiglio: invito tutti a vedere la parte bella delle esperienze gastronomiche. Che sia in un tre stelle Michelin o nel paninaro sotto casa, cercate di cogliere le cose belle. Perché vi assicuro che in ogni posto ci sarà sempre un piccolo bagaglio di cui fare tesoro”. 

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