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Piero Pompili: la rivalsa dell’oste

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Di Loris Denti Tarzia

L’intervista a Piero Pompili

Carismatico, Talentuoso e con un’inguaribile passione per il cibo. Insomma, Piero Pompili è un maître che per gli appassionati non ha bisogno di presentazioni. 

Con la sua professionalità e il suo aplomb, gestisce magistralmente il ristorante Al Cambio, forgiato a sua immagine e somiglianza. Un restaurant manager che da quasi otto anni si concentra non solo nel far conoscere la cucina felsinea in tutto il globo, ma anche nel ridare lustro alla figura che è lontana dai riflettori da ormai troppo tempo: quella dell’oste.  

La sua bravura non sta tanto nel servire dei piatti, ma nel tessere un racconto fatto di continua ricerca, ossessione sia per la materia quanto per la tradizione. Il tutto legato da un fil rouge che è l’amore per la sua città: Bologna

Pensi che il futuro della ristorazione sarà dettato dai Maître e dai Sommelier di spicco?

Il mondo della ristorazione sta cambiando radicalmente. Da un lato c’è una grande crisi “esistenziale” che sta vivendo il fine dining, dall’altro invece un grandissimo ritorno di pubblico verso una tradizione più immediata, meno ingessata e accessibile a tutti. 

Ed è proprio nella cucina della tradizione che gli uomini di sala hanno trovato un habitat ideale in cui possono fare la differenza. Quindi direi di sì, in termini di numero il futuro sarà della sala. Dopo l’epoca dei cuochi star, si tornerà a puntare i riflettori verso la figura dell’oste, come è già successo in passato. 

Quanto è cambiata la percezione che il cliente ha del ristorante Al Cambio dopo l’aumento della notorietà? E soprattutto, è cambiato anche il cliente medio? 

Negli ultimi anni devo dire che con il crescere della nostra popolarità è cambiata anche la percezione che il cliente ha di noi. Ad esempio, dopo esser stati in Giappone a fare una cena di gala, qui a Bologna siamo diventati oggetto di vanto da parte di molti. Si è sviluppato una sorta di attaccamento molto sentito nei nostri confronti. Abbiamo la percezione di esser diventati qualcosa di più che un ristorante “famoso”. 

Il cliente medio non è cambiato, la nostra clientela fissa ci supporta da tantissimo tempo. In questi otto anni però, all’aumentare della popolarità siamo diventati sempre più oggetto di viaggio. Questo ovviamente ci rende orgogliosi, anche se diventa sempre più impegnativo cercare di non deludere le aspettative di chi fa così tanti chilometri.  

A breve la nostra lasagna e il ristorante approderanno sul New York Times su uno speciale di cui ancora non posso anticipare molto ma con tutta probabilità diventeremo anche una meta internazionale. Sarò sincero, non avrei mai pensato che saremmo riusciti a portare così lontana la cucina bolognese. E mai come oggi posso dire che stiamo facendo davvero un bel lavoro. 

Il locale è radicato in una via periferica del capoluogo emiliano. Se ci fosse l’occasione, sposteresti il locale in una zona più movimentata? 

Un locale conosciuto e sempre pieno non andrebbe mai spostato, al di là della sua posizione. Prima che scoppiasse la pandemia ho imparato una regola importantissima: non importa dove stai, quello che conta realmente è rimanere sempre la prima scelta del cliente.

Qual è la sfida più grande per un ristoratore nel 2024? 

Avere un’identità e riuscire a restare sempre fedele a sé stessi. Il problema di molti ristoranti oggi è che sembrano fatti tutti con lo stampino, non trasudano personalità né in cucina né in sala. Ci vai una volta e poi non ti viene voglia di tornare.  

Qual è, secondo te, il più grande difetto della ristorazione italiana contemporanea?

L’incapacità di fare gruppo e di condividere obiettivi comuni atti a rivoluzionare un settore come quello della ristorazione. Servirebbe il coraggio di cambiare molte cose, soprattutto a livello legislativo. 

Parlando di cambiamenti: si sta discutendo se introdurre la settimana di 4 giorni lavorativi. Pensi che possa essere fattibile per un ristorante seguire questi orari? 

Credo che il 90% dei ristoranti faccia fatica a sopravvivere lavorando 5 giorni su 7, figuriamoci togliendo un altro giorno di lavoro. Purtroppo, per quanto riguarda la ristorazione, non abbiamo numeri sufficienti per mantenere in equilibrio un’azienda con solo quattro giorni di lavoro a settimana. 

Inoltre, credo che integrare altri lavoratori nella propria attività per garantire la settimana corta sia estremamente costoso. Per non parlare poi della difficoltà nel trovare nuova forza lavoro in questo periodo. Invidio però chi potrà permettersi di farlo in altri settori. Abbiamo una vita sola e andrebbe vissuta diversamente dal solo lavorare. 

In una cucina dove la pasta è un elemento fortemente identitario, è possibile mettere del proprio estro creativo senza uscire dai confini tradizionali? 

Occorre una grande intelligenza per farlo, ma se penso alla parte croccante della lasagna di Massimo Bottura la risposta è sì. Il problema è quando dietro un piatto manca un’idea e il rispetto della tradizione, ma quando questi due elementi riescono a fondersi assieme il risultato è sorprendente. 

Nella tua quotidianità privata, mangi sempre emiliano oppure ti piace cambiare sapori?

Nella quotidianità mangio cose molto semplici e seguo un regime sportivo serrato fatto di allenamenti in palestra. Cerco di avere un’immagine bella, sana e anche facilmente vendibile. In fondo, sono nato come il biglietto da visita prima del ristorante e poi pian piano di Bologna. Ed è proprio per il rispetto che nutro verso la mia città che cerco di avere una immagine sempre impeccabile. Però il sabato a pranzo e la domenica mangio quello che voglio e spazio tranquillamente. La cucina emiliana, forse, è quella che mi capita di mangiare meno. 

Parlaci un po’ della lasagna che proponete Al Cambio, quali sono le sue peculiarità? Che vino abbineresti a questo piatto?

Attraverso la comunicazione la nostra lasagna ha fin da subito iniziato a parlare trasudando alla vista tutto quello che racchiude la cucina bolognese: opulenza e abbondanza. È diventato il nostro piatto di punta (prima erano le tagliatelle al ragù): stiamo parlando di 400 grammi di lasagna fatta da 7 strati di sfoglia verde, alternati da generose quantità di ragù e besciamella. È talmente farcita che sta in piedi da sola in tanti a Bologna ironizzano chiamandola “la terza torre di Bologna”. 

 Per l’abbinamento punterei sicuramente su dei vini del territorio: spaziando da un bel Lambrusco di Sorbara rimosso a un bel Sangiovese di Romagna. Dopotutto, i vini di un territorio nascono proprio per accompagnare i piatti della tradizione, e chi viene Al Cambio si aspetta di trovare proprio quello. 

Qual è stata l’esperienza più rilevante a tavola? Quale è stata la cena o il pranzo più importante della tua vita, dove e perché? 

Penso che tornerei indietro nel tempo per fermarmi al Gambero Rosso di San Vincenzo. Lì Fulvio Pierangelini mi insegnò che servono pochi ingredienti per fare un buon piatto. La passatina di ceci con gamberi era uno di questi. 

Poi è doveroso citare Massimo Bottura. Mi ha insegnato quanto la comunicazione e il racconto siano fondamentali e che se ci avrei messo amore, enfasi ed ossessione sarei arrivato ancor di più al cuore della gente. E aveva ragione. 

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