La provincia è ancora la più zelante custode della tradizione. In questo caso rappresentata da una ricetta le cui origini risalgono addirittura al XVII secolo. Va da sé che, in passato, nello Stivale non sussisteva una precisa letteratura in merito e pertanto, soprattutto presso le preparazioni di estrazione e diffusione popolare, capitava che formati di pasta simili tra loro avessero nomi differenti o che altri, diversi nella forma, si chiamassero invece nel medesimo modo.
Origini
Nel nostro caso, la prima attestazione proviene dai calmieri dei prezzi emanati nel ‘600 dove già si attesta l’uso locale del termine “marmizi” o “varmizi” in luogo di vermicelli. Oggi è grazie ad Andrea Funi, chef e patron del ristorante La Grotta dal 1918 di Mongardino, in località Sasso Marconi, se la ricetta è arrivata fino a noi, dopo un’esegesi di ricostruzione quasi filologica, ben attestata peraltro nel saggio di Gian Carlo Roversi “Spaghetti alla Bolognese: vero o falso?”
Cucina
Questi, in particolare, li realizza rispettandone la natura umile ma ricercata, attraverso la farina di grano inalettabile macinato a pietra e uova biologiche. Il condimento? Quello di una volta, con “ragù antico” ovvero realizzato in bianco e composto dagli scarti degli animali da cortile, rigaglie di pollo in particolare e una spolverata di “ovarine” (uova embrionali) e macis, che infonde aromaticità al piatto.