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O’ Spaghetto mio

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Una storia di pasta

di Alessandra Belvisi

In ricordo dell’Assemblea Costituente, che bella quanto l’Italia ha scritto la nostra Costituzione, presentiamo una più diversa ma iconica vicenda.

Questa è una storia di pasta, di basta, di ancora, di tuttavia. Una storia cui ho imparato, un po’ più di prima, cos’è il “noi”; non dovete essere d’accordo, anzi dissentite, parlate con queste pagine come un folle col muro, che vi smuova è già una vittoria. Prendetela con le pinze, non ho una voce autorevole e non vi dirò il mio nome. Io? Non vi servo. Non sono altro che fusillo curioso nascosto sul cornicione di una chiesa, non altro che un pettegolo bigolo che accompagnava un rappresentante veneto; forse lì per caso, forse appostato. Sarete voi col vostro giudizio e con quel che di queste righe vi resterà impresso a decidere se dovevo o meno essere lì.

o spaghetto mio
Ph. Adriana Blanc

Roma – giorni lontani –

“Onorevoli eccoci, abbiamo preso posto in questa sede, un po’ angusta ma simbolica. Nel cuore della nostra amata ed odiata terra, questa cupola non ci separa dal cielo ma ci avvicina a lui; possa un luogo sacro per l’uomo ricordarci “perché siamo” ciò che siamo. Buongiorno ad ognuno di voi, rispetto il viaggio lungo ed esasperante che alcuni, molti tra noi hanno affrontato, e non aggiungo altro. Procediamo, perché se siete qui è perché sapete.”

La limpidezza con la quale l’oratore si impossessò dell’attenzione dell’intera aula, lasciandola inerme succube della sua voce, mi lasciò affascinato. Quel Capello d’angelo, così sottile, con il corpo arrotolato su se stesso, tra le sue spire stingeva la platea come un pitone.

Nell’aula precipitò il silenzio più totale. In effetti le presentazioni non erano necessarie, tutti si conoscevano lì. Lasciò qualche secondo ai presenti, forse per rendersi conto della situazione, forse per calarsi meglio nei panni del presidente dell’assemblea e dimenticare, per una giornata, i legami personali che lo univano ad alcuni dei partecipanti.

“Siamo qui per discutere una, ed una sola mozione di allontanamento. Per rispolverare la memoria di chi come me è ormai immangiabile: verrà letta la mozione, sarà dato spazio alla discussione per il tempo che sarà necessario; la votazione può essere convocata solo da colui che ha convocato l’assemblea, e solo nel caso cui non sia stato lui l’ultimo a parlare. L’ultima parola mai spetta a chi presenta la mozione. Decidono i 3/4 dell’assemblea e la mozione, d’ora in avanti, non può essere revocata da nessuno.”

A parte qualche viso sorpreso ed alcun altro d’approvazione non si udiva volare una mosca ma si notava un certo fremito tra le seggiole.

“Leggo la nota di presentazione fornita dal richiedente, allegata alla convocazione dell’assemblea, che nessuno di voi ha potuto consultare fino ad oggi. Gli altri documenti sono già in vostro possesso.”

Onorevoli di tutte le Italie, mi rammarica dover essere arrivato a tanto, quanto convocare un’assemblea, tuttavia il mio cuore non può riposare tranquillo conoscendo che si stanno perpetrando dei torti. Non con leggerezza, ma con estrema cautela, vi invito a discutere sulla possibilità di allontanarci, noi spaghetti, dalle paste lunghe. Voi medesimi ne trarreste beneficio poiché troppo spesso la fama della mia forma e la superficialità della folla vi ignorano, compagni. Questi umani sono ignoranti e non sanno riconoscerci nelle nostre molte facce. Allontanarci dalla famiglia delle paste lunghe non è una decisione bensì una necessità per poter ritornare alla gloria di un tempo. Vi prego di non portarmi rancore, di rispondere alla convocazione e di ascoltare le nostre e le mie ragioni. Questa è una mozione di indipendenza con cui chiedo che gli spaghetti vengano allontanati e riconosciuti dalla famiglia delle paste lunghe come categoria indipendente.

In fede,
Spaghetto n*12, detto “il paggetto

o spaghetto mio

Non se lo fecero ripetere: il silenzio svanì e nell’aula si liberarono sbraitanti le più feroci grida di battaglia.

“Ma quale gloria? Quali giorni migliori? Guardiamo i numeri Signori, guardiamoli: mai come oggi la produzione è tanto alta, è vero, a farla da padrone sono più spesso le paste corte ma rimane il fatto che mai nella storia siamo stato tanto conosciuti e diffusi. Poi siete proprio voi Spaghetto a saltare fuori con la proposta di separarci? Siete voi la pasta lunga più conosciuta e offuscate anche con un sol battito di ciglia ogni altro nome. Fatemi indovinare: per il vostro rango non siamo abbastanza famosi? Che vergogna finire su uno scaffale con noi. Ma fatemi il piacere…” esordì un Bigolo, che se lombardo o veneto non era proprio chiaro in quel trambusto, ma con numeri alla mano sgomitava tra le altre voci emergendo a spizzichi e bocconi.

Stava praticamente litigando da solo poiché colui a cui stava indirizzando tanti gentili apprezzamenti gli sfuggiva alla vista. Fu interrotto presto, però.

“Cosa ci importa dei numeri? Lo capisco io, l’onorevole Spaghetto, ci vogliono delle regole più rigide e meglio ancora se scritte. Ma lo sapete voi cosa gli porta quella che voi gli invidiate e chiamate fama? Dolore. Oltralpe usano il suo nome come uno scherzo, spaghetti li fa ridere, e lo usano per ridicolizzarci. Immaginate il dolore!”

Come una vecchia signora che protegge un giovincello, la comprensione e l’empatia gli erano state impresse a suon di matterello, dallo stampo a fil di ferro, che una nonna ancora usava per tagliare gli spaghetti alla chitarra per i suoi nipoti. A spada tratta anche un Bucatino seguì la corrente difendendo lo Spaghetto: “si, si, e di peggio. Non solo la dignità del suo nome non esiste là oltre le Alpi; non potete ignorare cosa succede oltre oceano. Quali orribili salse e condimenti gli vengono riversate addosso?! Non sono d’accordo che se ne vadano, ma ha ragione, serve un cambiamento.”

L’aula si era divisa in tante piccole battaglie. E con la scusa di confrontarsi sulla questione emersero sempre più i conflitti personali, regionali o secolari, quei contrasti radicati nell’animo per cui neanche si avevano motivazioni. Si litigava per principio.

Quale sugo fosse meglio, quale trafila dovesse essere permessa, quali dimensioni o formati fossero irrispettosi alla dignità secolare della grande famiglia delle paste lunghe. Ed ancora: problemi di territorio, e di regioni, è tipico solo qui, solo lì, l’origine non è quella, di qua, tu di là, l’è tua, l’è mia, l’è morta l’umbria. Si andava sul personale… v’era un gruppo proprio a portata d’orecchio, una Mafalda stava esponendo la propria teoria sui colossali problemi che v’erano nella regolamentazione: a sentire lei il mondo ci si stava sgretolando sotto ai piedi.

“Il ribollire del vostro lamentoso dissenso è molesto e snervante. Gradirei, oltre che a sentirvi sentenziare problemi, delle soluzioni. In caso contrario ci faccia il favore di stare zitta, che qui, non siamo venuti per compatirla. D’altro canto pare non solo la vostra cottura ma anche il vostro pensiero abbia i suoi tempi.” Una frecciatina andata però a segno, quella sulla netta differenza di tolleranza alla cottura dei vari formati; da che mondo è mondo un formato più grande avrà bisogno di più tempo, ma si sa come sono permalose le paste quando gli si viene ricordato di esser lente…

…il racconto continua giovedì prossimo.

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