Di Serena Sparagna
Questa intervista vorrei catalogarla come diversa dalle altre. Non per le domande fatte perché, bisogna dirlo per onestà intellettuale, sono sempre quelle. E poi…cos’altro si può chiedere ad una personalità come Alessandro Roscioli a cui probabilmente negli anni è già stato domandato tutto? Piuttosto, il mio desiderio è di trascendere il personaggio, l’uomo dietro il bancone per esaltare la persona che si legge tra le righe (e nemmeno troppo).
Perché parlare con Alessandro Roscioli e il suo chef Gabriele Giura è stata una chiacchierata tra amici, un flusso di parole a cuore aperto che meritano di essere lasciate au naturel, forse con l’aggiunta di un pudico asterisco, ma nulla di più. Pertanto, il pezzo che segue non sarà certo scevro da linguismi romaneschi che da ex studente di linguistica italiana ritrovo e scovo sempre con passione e con un approccio scientifico. Anche le parole sono cultura ed è sempre da quella cultura che deriva la grande Cucina Italiana. Con tutte le obiezioni del caso perché si sa, il nostro bel mangiare è costruito sui miti, come quello della Carbonara. Ma questa, è un’altra storia.
L’intervista
Roscioli è un’istituzione romana e non solo: qual è il vostro rapporto con la comunità locale?
Alessandro Roscioli:
Io sono nato e vivo nel quartiere. L’avvento delle case vacanze ha stravolto tutto. Ad abitare qui siamo rimasti in pochi. Rispetto a 10 anni fa, siamo diventati forse un terzo. Le case vacanze stanno diventando una piaga e se ne accorge solo chi vive il posto. Si rischia di far decentrare la popolazione e che il quartiere diventi un quartiere fantasma. Quando c’è stato il Covid, dove non c’era più l’afflusso turistico, molti palazzi sono stati chiusi per più di un anno. E un po’ triste questa dinamica. Poi siamo in un punto dove difficilmente passiamo delle giornate dove non c’è gente. Siamo in un budello che collega il quartiere ebraico a Campo de’ fiori. L’unico tratto di strada dove i turisti possono passare è questo. Ma è un pochino desolante. Sarebbe confortante sentirsi dire ogni tanto un vaf****o piuttosto che f**k off.
Quali sono i principi fondamentali che guidano la vostra filosofia culinaria?
Alessandro Roscioli:
Una delle mie caratteristiche non è ‘a diplomazia. Ma non è per spocchia, tutt’altro. Spesso mi ritrovo io di fronte a decisioni che ha preso la cucina. Forse più che con i fatti, con le parole sono riuscito a trasmettere la filosofia del locale. Quindi ad un certo punto il resto della brigata ragiona come se fossi io a ragionare. Che poi, se te la posso dì tutta, tutta ‘sta filosofia nun c’è stata. Alzando l’asticella della materia prima ci siamo potuti permettere di cambiare la marcia. Ci siamo inventati qualcosa? No. Noi nun ce semo inventati niente.
Se compro un certo guanciale non è che potemo piglià pe’ c*lo la gente. Un grande guanciale non lo posso mettere in vetrina e poi in cucina ci entrano le schifezze. Sotto il punto di vista commerciale sarebbe stato forse più redditizio, però per quella poca filosofia che abbiamo per me è stato un passaggio naturale con la cucina. Poi mi trovo a sentire gente che mi dice “Eh ma che ve siete inventati!” Nun ce semo inventati n’caz**o. In 22 anni dall’apertura non abbiamo mai cambiato la qualità. Cosa che mi ha portato ad interrompere rapporti con alcuni fornitori che invece hanno fatto il percorso inverso al mio. Però ci siamo messi alla ricerca di nuove materie prime che, dal punto di vista creativo, è anche uno sprono.
Siamo arrivati all’inizio degli anni 2000 quando la cultura della materia prima era esplosa. I ragazzi della generazione prima della mia avevano capito che di prodotti ce ne stanno tanti ma poi devi decidere tu quello che ti metti in bocca.
Nella creazione del vostro menù quanto è forte il braccio di ferro tra tradizione e bisogno di sperimentare?
Gabriele Giura:
Abbiamo una larga fascia di clienti che prima di salutare dice “Carbonara”, mentre abbiamo anche un’ altra fetta che venendo magari 2/3 volte a settimana vogliono mangiare qualcosa che non trovano al ristorante vicino, fuori dal mangiare romano. Metà del menù è fedele alla tradizione, l’altra metà spingere verso abbinamenti meno didascalici che però include alimenti che si possono trovare al bancone o nella salumeria.
Magari è stimolante anche per il cliente che magari in un piatto assaggia qualcosa che gli è piaciuto particolarmente e lo compra per portarselo fuori dall’Italia. Soddisfare la clientela locale è un più complicato. Ma con la vastità di persone che ogni giorno entrano ed escono e la possibilità che Alessandro ci da per poter sperimentare, è facile individuare alcuni prodotti di nicchia facilmente gestibili in un menù che non tradisca troppo la tradizione. Senza puntare sempre e solo sulla romanità. Prendendo il meglio da tutto, abbiamo ingredienti di livello soprattutto per quanto riguarda i formaggi e salumi. Anche francesi e spagnoli.
Qual è il ruolo dell’esperienza culinaria e gastronomica nel vostro approccio al business?
Alessandro Roscioli:
Devi avere la predisposizione ad ascoltare, a capire, a metterti in gioco. Se non sei disposto all’ascolto pensi che quello che fai sia un dogma. Io e mio fratello siamo figli dell’arte bianca, mio padre aveva un forno eppure quando abbiamo deciso di annettere il ristorante ci siamo trovati davanti sfide che non pensavamo. Dici tu: che ce vo a fa n’piatto de pasta? E invece occorre studio, sbagliare e impegnarsi e solo con questo approccio si può migliorare. La frase che forse ci rappresenta di più è: alla fine, stamo comunque a parlà de pane e salame. Anche se alla fine facciamo cibo e per quanto sia importante quello che facciamo per la nostra cultura, sempre di cibo si tratta. Non salviamo vite in ospedale. Piuttosto, se uno viene e se magna 3 piatti de Gricia di fila sicuro è più facile che all’ospedale ce va anziché uscirne.
Roma e poi New York: quali sono i vostri progetti futuri per espandere il marchio?
Alessandro Roscioli:
Al momento per noi New York è stato un grande passo. In America il locale ha un grande successo ma ci siamo resi conto che ti misuri con un’altra mentalità. Stiamo facendo di tutto per fare il contrario di molti ristoranti italiani che aprendo all’estero alla fine hanno reso le ricette, soprattutto quelle della tradizione, più ruffiane. Io però non vorrei cascare dentro quell’imbuto. Negli USA hanno una tolleranza alla sapidità inferiore a quella italiana. Abbiamo deciso quindi di aggiustare la ricetta cambiando la percentuale di Pecorino romano spezzandolo con il pugliese perché è più dolce. Ma nun ce metterò mai la panna nella Cacio e Pepe.
Come avete affrontato le sfide legate alla gestione di un’attività gastronomica di successo nel contesto attuale del settore?
Gabriele Giura:
La fortuna che ho avuto io qui è quella di non dover chiedere mai nulla. Spesso c’è questo scontro tra cucina e proprietà dove è sempre un domandare. Io ho la situazione inversa. Spesso devo fermare Alessandro perché è un continuo andirivieni di prodotti da assaggiare, provare per sperimentare con i piatti.
Alessandro Roscioli:
Magari nella pazzia è anche una situazione favorevole. Tolti i frigoriferi, dove tutto deve essere etichettato e predisposto in un certo modo e criterio per ovvie questioni, da noi non sai più dove mettere la roba. Molto spesso le persone stanno mangiando e devi chiedere di spostare le cose. Spesso i turisti si guardano intorno e si chiedono come mai tutte ‘ste cose. Puoi trovare la marmellata vicino ai carciofini. Una volta un cliente ci ha detto che è un caos ordinato. Ma è ordinato per me non per chi entra.
Tra le quattro regine incontrastate della cucina romana: quale ricetta preferite? Carbonara, Gricia, Cacio e Pepe o Amatriciana?
Gabriele Giura:
La mia è la Cacio e Pepe anche anche se non è tra le più popolari.
Alessandro Roscioli:
Se cucina Gabriele, tutti! Però, devo ammetterlo, sarà un bias dell’infanzia ma la pasta che preferisco è con burro e Parmigiano. Questo è uno di quei piatti che servono per rendersi conto se qualcuno sa cucinare. Ci sono solo 3 elementi. Non puoi permetterti errori. Non puoi neanche dire come chef “questa è la mia interpretazione”. Ma che ca**o devi interpretà’ che so tre cose in croce nella pasta. Puoi interpretà solo se la pasta e buona o è scotta, se il Parmigiano è buono o se l’hai comprato di pessima qualità ar discount.