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TIMBALLI, PASTICCI AND CO.

HomeBlogPasta la parolaTIMBALLI, PASTICCI AND CO.

Pasta avanzata? No, nobilitata, ricucinata, reinventata!

Dice l’ottimo Ottorino Pianigiani che la parola “timballo” viene dal francese timbale, a sua volta alterazione dello spagnolo atabal, voce di origine araba, da cui la forma italiano antico taballo, per indicare uno strumento a percussione nonché il nome dello stampo – che in origine era semplicemente un contenitore cilindrico – con il diametro uguale all’altezza la cui forma ricordava la cassa armonica semisferica di uno strumento musicale a corde.

Quanto alla sua prima comparsa in cucina, il timballo (o pasticcio) è figlio della cucina tardo medievale: risale ai banchetti di questo momento storico l’idea di cuocere in un guscio paste e sughi molto ricchi, in genere fatti con carni di vario genere. La tradizione si è poi mantenuta nel tempo e, oggi, è rimasta in molte gastronomie regionali quale (ri)cucina borghese dell’avanzo, in particolare nelle cucine domestiche di Emilia-Romagna e in Campania.

Antesignano del primo food design, il timballo ha seguito le mode e i costumi di ogni epoca, cambiando forma a seconda della circostanza e del momento storico, e non disdegnando di rado di vestirsi di uno strato esterno fatto anch’esso di pasta, frolla o sfoglia che fosse.

Quanto al suo sinonimo culinario, il “pasticcio”, questo viene spesso riferito alla versione dolce del timballo che ha origini ancora più antiche, risalendo addirittura ai tempi dell’antica Roma. La caratteristica principale del pasticcio è l’involucro di pasta, guarnito all’uopo da un velo di crema, che fondesse tra loro dolce e salato. In tempi più recenti il pasticcio è comunemente considerato un composto di vari ingredienti sovrapposti a strati e cotti in forno, solitamente ripieno di carne. Un pasticcio di maiale, nella fattispecie, funge da innesco narrativo a uno dei capolavori della letteratura mondiale, Grandi Speranze, di Charles Dickens.

E, sebbene l’autore inglese lo inserisca in un contesto di sottoproletariato, il timballo, ancor più del pasticcio, rappresenta un immaginario di festa e di abbondanza, simile a quello, se non della festa nobile, della domenica borghese.

Lo scrigno di tortellini di Modena di Riccardo Forapani a Il Cavallino

Riccardo Forapani è uno degli chef veterani della Osteria Francescana. Da questo prestigiosissimo contesto porta al ristorante Il Cavallino di Maranello una cucina aristocratica ma affatto sussiegosa, anzi divertita, perché capace di rileggere la tradizione e giocare con tutto il repertorio di piatti della enciclopedia culinaria della Bassa modenese e Padana, nobilitandola attraverso interpolazioni di grande bellezza.

Come il superbo lo scrigno di tortellini di Modena foderato di lingua salmistrata: un manufatto che sembra arrivare dal reparto pasticceria e di bella coerenza circa il contesto, nobiliare, dell’esperienza al Cavallino. L’involucro di pasta frolla riporta i motivi del Duomo di Modena disegnati sul coperchio edibile, elementi, questi, che rimandano a un tempo in cui l’araldica determinava le sorti dei Comuni e, con essi, dell’Italia tutta. Un piatto sofisticato dove contenitore e contenuto parlano della stessa raffinata opulenza e, allo stesso tempo, della stessa perizia artigianale e ingegneristica, in una parola, della stessa téchne che accomuna Ferrari, Forapani e Bottura stesso.

Il timballo di spaghetti di Riccardo Bassetti a Il Porticciolo

Siamo a Laveno, in una piccola struttura alberghiera, direttamente sul lago Maggiore, sponda Lombarda. Qui a Il Porticciolo circa quaranta anni fa è partita l’avventura della famiglia Bassetti, marito e moglie, che hanno lasciato al figlio Riccardo le redini della cucina. Lo Chef, che vanta esperienze sia in Italia, Al Sorriso, da Davide Oldani e da Sergio Mei, così come in Francia,  Joel RobuchonYannick Alléno e Thierry Marx, propone qui una cucina di territorio con una visione creativa, di respiro internazionale, con l’obiettivo di stupire i commensali lavorando, decisamente in controtendenza, non sul togliere ma sull’aggiungere, privilegiando alla profondità l’ampiezza numerica di ingredienti che compongono le varie portate.

Un contesto espressivo, questo, in cui si inserisce il Timballo di spaghetti morbidi, farcia di pesce di lago, spinaci con soia e olio all’aglio, salsa di pomodoro aromatica alle erbe di montagna, ragù servito a parte di rane e gamberi, salsa al Riesling, limonata al timo limone e olio al cardamomo: piatto incredibile, testimone di come padroneggiare una moltitudine di elementi in grande armonia. 

La pasta al forno di Niko Romito all’ALT Stazione del Gusto

Niko Romito ha la stoffa dei grandi. Lo si evince nella disarmante semplicità con cui descrive la cottura e i passaggi tecnici di una sua ricetta del Reale, così come dall’entusiasmo visionario che mette in ogni sua iniziativa, anche presso quelle che sembrano più umili. In questa sede vi parliamo dunque di ALT Stazione del Gusto, una moderna trattoria dall’estetica minimale, a scimmiottare quasi il fast-food, in cui tutto è però curato nei minimi dettagli. Curato anche un piatto apparentemente di recupero, e popolarissimo, come la pasta al forno, che rappresenta la vera democratizzazione dell’alta cucina tanto è ricco sia di precisione – geometrica – che gustativa.

Il timballo di maccheroni del Gattopardo di Rino Duca a Il Grano di Pepe

Memoria, ricordo, storie, e in alcuni casi anche la Storia, quella con la S maiuscola: questi sono gli ingredienti ricorrenti dei gustosissimi piatti di Rino Duca al Grano di Pepe, piatti in cui la Sicilia è protagonista in ogni dettaglio, benché con frequenti interpolazioni dalla Scozia e dal Giappone. Ma sicilianissimo è, manco a dirlo, il suo Timballo del Gattopardo, dove si magnifica una cucina siciliana popolare, domesticissima, portata però a un livello superiore. Il riferimento, in ogni caso, è quello degli interminabili pranzi delle famiglie siciliane, con l’immancabile pasta al forno, foriera di gioia e abbondanza. Qui coi fantastici anelletti (formato di pasta da riscoprire), la carne, i piselli, l’uovo e a ricoprire una fonduta di piacentinu ennese. “Piatto totale e totalizzante. Un ritratto del Sud in pochi centimetri quadrati“.

Le paste al forno di Massimiliano Alajmo a Le Calandre

La cucina di Massimiliano Alajmo è la più apparentemente semplice di tutti i tristellati di Italia. E invece è complessa ma, si badi bene, affatto complicata. Complessa nelle tessiture e nel numero di ingredienti che concorrono a ogni piatto. Una dimensione di comfort del palato cui il genio di Rubano non ha mai rinunciato, anzi ha nel tempo ulteriormente affinato, configurandosi come la nemesi della nouvelle cuisine. In questa ottica non potevano dunque mancare le paste al forno, due, in particolare, che restituiscono alla cucina il suo senso più profondo: il gusto.

Pasta al forno

Una combinazione semplice: ricotta, pomodoro, pesto e pasta, ripiena di carne. In parole povere, l’Italia al potere.
La pasta, qui, è di sola farina di grano duro e acqua cui una tecnica crea una cavità interna, e porta la superficie a essere estremamente croccante. Un piatto gustosissimo, che si discosta del tutto dal registro del menù in cui si innesta come parentesi di totale comfort e rassicurazione.

…e con la lepre…

Medesimo procedimento di lavorazione della pasta, diverso e molto più autunnale condimento. L’Italia, al potere, in autunno.

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