Di origini calabresi il giovane chef Giuseppe Lisciotto, amichevolmente chiamato Beppe, prima di approdare alle cucine del ristorante Les Petite Madeleines, ristorante del Turin Palace, hotel di prestigio nel cuore della prima capitale d’Italia, vanta esperienze d’impronta piuttosto classica in tutta Europa e nello Stivale: dal Plateau Restaurant, Angler e Skylon a Londra. Piedi ben saldi per terra, idee ragionate e sempre proiettate al passato per interpretare una cucina di tradizione che si fa volere bene da una clientela sicuramente internazionale ma anche da chi cerca il gusto sicuro e sincero delle materie prime nostrane.
Qual é il primo piato di pasta di cui hai memoria?
Siamo figli del tempo e della nostra terra di origine, il piatto di pasta che mi viene in mente senza indugio è uno dei grandi classici italiani, gli spaghetti al pomodoro.
Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio in termini di pasta?
In ogni piatto cerco di attingere dal mio passato quindi la territorialità per me ha un valore fondamentale. Terra che mi ripropongono sempre di presentare nella mia cucina soprattutto per sentirmi un po’ a casa. E per far sentire a casa i miei ospiti.
Quali sono, o quali sono stati, i piatti di pasta già significativi della tua storia professionale?
Una pasta che mi ha particolarmente colpito è sicuramente quella di Mammoliti con il prosciutto affumicato. Da lì ho lavorato sulla definizione dei sapori, il RAVIOLO, POMODORINO CONFIT E STRACCIATELLA sta riscuotendo un particolare successo quasi come i bottoni con topinambur, sgombro e brodo di alghe, piatto che inserisco sul finire dell’autunno per un richiamo del mare anche in inverno. Altre paste a cui tengo molto sono il fusillo risottato, piatto accompagnato da bisque e brodo di erbe, o con una salsa al pomodoro interamente prodotta dal mio team a Les Petite Madeleines. Per la pasta mi affido a quella dei pastifici Felicetti o Fabbri.
Trovi che sia legittima una gerarchizzazione della pasta in base al suo formato? Mi spiego meglio: ritieni che esistano formati più popolari (da trattoria o da bistrò) e altri più elitari (da fine dining)?
Quando si parla di pasta si parla di bontà assoluta. Credo che si debba sempre attingere da ricette del passato. E che non esistano delle gerarchie. Oggi si può fare avanguardia, si pensi alla pasta fritta ad esempio. Non credo che esista un formato di pasta migliore o peggiore, da trattoria o bistrò, o da grande stellato. Sta alla creatività ed alla sensibilità dello chef scegliere il giusto formato per il giusto condimento o ripieno.
Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?
Non c’è vincolo. C’è un giusto bilanciamento in ogni piatto e sta allo chef amalgamare gli ingredienti…Si possono affiancare a penne o spaghetti un grande sugo, per nobilitarlo, o inserire un grande ripieno in un raviolo, in quest’ultimo caso la pasta diventa il vero abbraccio del gusto. Io sono per un’avanguardia che inizia da una ricetta classica poi leggermente rivisitata. E credo che un po’ tutti gli chef stiano tornando a questo approccio.
Come immagini la pasta del futuro?
Sempre più buona, sempre più artigianale e sempre più digeribile. Mi auguro di vedere una qualità degli artigiani in larga scala.
Cos’è per Giuseppe Lisciotto la pasta?
Il momento di convivialità in tutte le case italiane. Una delle cose che più rappresenta il nostro paese. Se ho amici a cena preparo un piatto di penne con nduja e provola filante.