Formato di pasta all’uovo ripiena ottenuta piegando la sfoglia in due triangoli cui vengono uniti i lembi girandoli intorno a un dito della mano. Nati in Emilia-Romagna, nelle zone comprese tra Cesena, Reggio nell’ Emilia e Ferrara, i cappelletti sono storicamente legati anche alle Marche.
Origini
Sull’origine del nome ci sono diverse versioni, la più tradizionale sostiene che caplèt fosse anche il nome di un cappello a tesa stretta e cupolone abbondate, tipico della gente di campagna. Proprio a causa della somiglianza con questo copricapo si sarebbe diffusa l’abitudine di chiamarli cappelletti. Non si conosce, tuttavia, il momento di nascita di questo formato, anche se si hanno delle testimonianze di piatti simili sia in età romana che, più tardi, nel primo Cinquecento. Secondo Pellegrino Artusi, forlivese di Forlimpopoli, la loro ricetta rientra tra le minestre asciutte e di magro.
Ciò che divide e unisce al tempo stesso le tradizioni culinarie emiliano-romagnole è, difatti, proprio la questione del ripieno: la Romagna mutua dalla sua antica dominazione bizantina, quella Sacro Romano Impero d’Oriente, per intenderci, l’usanza di servirsi di formaggi nel ripieno delle sue paste. L’Emilia, invece, fieramente assoggettata ai Longobardi, fa del maiale il suo animale totemico. La ricotta dunque, si diceva, oppure metà ricotta e metà raviggiolo e magari anche un mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con olio, sale e pepe e tritato fine fine, Parmigiano Reggiano grattugiato, uova, noce moscata e spezie, costituivano il ripieno del cappelletto ai tempi dell’Artusi.
La loro prima apparizione ufficiale, però, è datata 1811: in quell’anno nel Regno Italico di Napoleone fu promossa un’indagine conoscitiva sulla vita degli abitanti delle campagne, che gli ufficiali pubblici locali annotarono con grande dovizia, riportando tradizioni, usanze, costumi e superstizioni della gente del contado. Nel suo rapporto il prefetto di Forlì, descrivendo le tradizioni culinarie, citò il piatto tradizionale consumato dai suoi abitanti: una pasta con un ripieno di ricotta che tutti usavano chiamare cappelletti. I quali, va pur detto, sono molto diffusi anche in altre zone d’Italia, come in Lazio e nelle Marche, dove sono considerati parte della tradizione locale anche se presumibilmente arrivati solo nel dopoguerra. Sappiamo infatti con certezza che la diffusione in queste aree avvenne intorno al 1924, quando iniziò l’opera di bonifica dell’Agro Pontino che durò per circa dodici anni. All’impresa parteciparono molti operai provenienti dall’Emilia-Romagna le cui famiglie portarono nelle zone toccate dalla bonifica usi e costumi della terra d’origine, tra cui questo primo piatto.
Cucina
Nella zona della città di Ferrara e provincia, la ricetta tradizionale prevede che siano riempiti con un ripieno a base di carni di pollo, maiale, vitello o manzo; immancabili il guanciale, il cotechino, il Parmigiano Reggiano, le uova e la noce moscata. Per la sfoglia, la ricetta è quella comune a base di farina e uova. Il condimento per eccellenza è quello del brodo di carne, in cui i cappelletti devono stare a bagno qualche minuto prima di essere consumati, così da esaltarne al massimo tutti i sapori. Passando poi nella zona delle città di Imola e di Rimini, i ravioli vengono riempiti con un ripieno a base di carne (cappone o lombata di maiale) o di formaggi morbidi (ricotta e Parmigiano Reggiano) per poi essere consumati solo ed esclusivamente con del buon brodo di carne di pollo.
A Ferrara si trova una variante con un ripieno di zucca. Anche a Mantova si trova una versione con zucca e amaretto. Nelle Marche, invece, sono il primo piatto del pranzo natalizio e per tradizione vengono preparati esclusivamente in casa. Il ripieno dei cappelletti marchigiani infatti è composto da carni miste (vitello, tacchino e lombo di maiale) e formaggio (Parmigiano Reggiano o ricotta). Molti aggiungono anche mortadella e/o prosciutto crudo, per renderne ancora più elevata la sapidità. Nelle città di Pesaro e Urbino il ripieno è molto ricco, composto da arrosto di maiale, polpa lessata di tacchino, cappone, midollo di bue, uova, noce moscata, scorza di limone, pepe e sale; vengono serviti in brodo di cappone.
Molte sono le varianti di questa gustosa pasta ripiena, e tutte ammesse dal romagnolo che li faceva anche senza disporre di pollo, che secondo ravennati e cesenati è una vera e propria deformità delle ricetta originale, che prevedrebbe solo formaggio fresco. Quale che sia la variante, tutti concordano su come gustarli: in brodo.