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ALESSANDRO ESPOSITO

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Due importanti esperienze in Francia, più precisamente a Parigi, dapprima a Le Clarence e poi al Restaurant Passerini, hanno formato questo cuoco all’insegna di viennoiserie, lièvre à la royale e tutto ciò che di buono la cucina francese ha da offrire. Dopo essere rimpatriato e aver preso il comando nel 2020 del ristorante Cantine Morbelli di Ivrea, dove ha sedotto il palato dei nostri critici, lo chef non si è fermato ed ha lasciato il Piemonte alla volta di nuove esperienze. In attesa di scoprire cosa lo attende, ecco cosa ha raccontato a noi di Passione Pasta.

Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria, quello che cucinava tua madre?

Nella mia famiglia si usava tanto il baccalà, un ingrediente che ancora adesso amo usare per il collagene che rilascia e che con la pasta si sposa a meraviglia. Adoro la pasta mista, già soltanto il nome è meraviglioso.

Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio?

La formazione più importante non l’ho avuta sul territorio e questo si riflette bene nella mia concezione di territorialità che, per me, risiede nella collaborazione con i produttori locali. Io sono un grande selezionatore di materia prima e uno degli aspetti più importanti trovo che risieda nelle relazioni umane. Confronto, crescita, paragone… mi piace pensare a una selezione dettata dalla scelta del prodotto e del produttore più che dal luogo da cui proviene.

Tra questi qual è quello che ti rappresenta di più nella tua identità di uomo e di cuoco? E per quale motivo?

Senza dubbio la pasta e patate con trippe di baccalà e caviale. Quando lavoravo in Francia mi chiedevano come si potesse mangiare un piatto nel quale si combinano due amidi. Bene, io trovo che questa ricetta racchiuda una sorta di magia che la fa funzionare in modo pazzesco. E poi mi rappresenta, cucinare è un divertimento ragionato per me e questo piatto è proprio un gioco in cui si inserisce la sapidità attraverso un elemento totalmente dissonante dagli altri, come è il caviale in questo caso.

Che tipo di pasta proponi nel tuo ristorante? E, se la acquisti, da quali produttori ti rifornisci?

Utilizzo la pasta del pastificio Gentile. La conoscevo già da prima e la adoro: è bella ruvida, avvolgente, ha una capacità di trattenere il sugo incredibile e rilascia la quantità di amido perfetta per la mia cucina. Mi piace molto utilizzare la pasta mista, ma anche altri formati classici come spaghettoni, fusilli, candele. Sulla pasta non sono molto programmatore, tante volte la uso per sfruttare al meglio una materia prima, come nel caso della pasta ripiena di pernice per la quale avevo usato le cosce, troppo tenaci da proporre a in un secondo a se stante. La pasta permette di recuperare ogni ingrediente, è incredibilmente sostenibile a pensarci.

Liscia o rigata?

Io non amo molto la pasta rigata, prediligo la ruvidezza; è questione di texture.

Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?

Trovo che la scelta del formato sia assolutamente vincolante. Inoltre bisogna aggiungere che la pasta ha alle spalle una tradizione importante, una sua identità; è difficile essere creativi.

Come immagini la pasta del futuro? 

Mi piace pensare che la pasta rafforzi sempre più la sua identità. Quando ero in Francia mi dissero che alcuni piatti non vanno reinterpretati, vanno semplicemente eseguiti. Ecco, in alcuni casi il piacere sta semplicemente nell’eseguire; magari con una propria chiave stilistica, ma non deve rappresentare più di una virgola.

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