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GIAN MICHELE GALLIANO

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Un passato che l’ha visto completare gli studi presso l’Accademia di Belle arti di Cuneo per poi reinventarsi e seguire la sua vera passione, la cucina. Da qui la prima esperienza di Gian Michele Galliano in cucina, al Rododendro di Mary Barale, quindi diversi anni di formazione tra Piemonte e Liguria e la voglia di mettersi in proprio con il Valentine a San Giacomo di Roburent, lussuosa locanda di montagna. Infine uno stop di tre anni per mettere a punto la propria filosofia e far sì che prenda forma Euthalia, ‘fiore che sboccia’ dal greco, il ristorante a Vicoforte in cui oggi propone una cucina matura, attenta a valorizzare il territorio da cui Gian Michele Galliano attinge a piene mani.

Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria?

«Direi che, quando ero bambino, il ricordo più bello è il raviolo di ricotta e spinaci con il sugo di funghi che mia nonna mi preparava molto spesso. Già in quelle occasioni la aiutavo a chiuderli e tagliarli».

Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio?

«Sono molto legato alle mie radici, ora più che mai. Durante il mio percorso di preparazione ho visto diversi stili di cucina, alcuni molto vicini a me altri completamente opposti. In più giovane età sono stato attratto dalle novità, soprattutto nel campo tecnico di cucina, ma anche negli ingredienti provenienti dal resto del mondo. Una maturità maggiore mi ha invece sempre maggiormente legato al prodotto delle mie zone, soprattutto per quanto riguarda la raccolta di elementi spontanei, ma anche nel ricercare i piccolissimi produttori e contadini che forniscono, secondo me, quanto di meglio ci possa essere sul mercato seguendo in modo naturale la stagionalità. Il futuro sarà sempre una ricerca maggiore delle tradizioni della mia terra elaborate con tecniche moderne, così da mantenerne od addirittura incrementarne il sapore, ma anche la digeribilità».

Quali sono, o sono stati, i piatti di pasta più significativi nella tua storia professionale?

«Un grandissimo ricordo sono i Tagliolini ai frutti di mari cucinati da Adelio Viale, Chef stellato di Bordighera e gli intramontabili Plin di Lidia Alciati. Per quanto riguarda invece quelli che ho creato personalmente sono nella mia memoria sicuramente i Tagliolini al Fieno, Capretto e Funghi, piatto elaborato circa una decina di anni fa ed il più contemporaneo Fazzoletto al Grano Saraceno, Latte, Formaggio e Patate d’Alpeggio, in ricordo dei “Tajarin al Lait” (tagliolini al latte) che faceva sempre la mia nonna».

Tra questi qual è quello che ti rappresenta di più nella tua identità di uomo e di cuoco? E per quale motivo?

«Sono stato molto interdetto nel rispondere a questa domanda, perchè molti piatti, chi per un motivo, un ingrediente, una forma mi riporta ad una contestualizzazione di me stesso. Alla fine credo che quello che maggiormente mi rappresenta ora siano i “Plin ripieni di Burro e Salvia”. Questo piatto rappresenta la mia sempre maggior ricerca del sapore vero, intenso, quasi poetico che sta nella semplicità dell’ingrediente così come nella sua grandezza. La miglior salvia che posso avere nel mio piccolo terrazzo, il miglior burro d’alpeggio che vado a prendere nel momento delle massime fioriture della stagione insieme ad una pasta fatta con uova che mi forniscono i contadini. La sfida personale di uomo è il ricercare questi elementi dando modo alle persone di continuare il loro lavoro e come cuoco di non stravolgere o rovinare quanto la natura mi ha dato».

Trovi che sia legittima una gerarchizzazione della pasta in base al suo formato? Mi spiego meglio: ritieni che esistano formati più popolari (da trattoria o da bistrò) e altri più elitari (da fine dining)?

«Credo non esistano negli ingredienti quelli elitari o di prima scelta come quelli di seconda scelta. Esistono gli ingredienti buoni e quelli non buoni. La miglior cipolla vince sul peggior caviale. E per la pasta è lo stesso. Riguardo ai formati, a parte la personale preferenza di alcuni su altri, mia come di tutte le altre persone, penso che il formato incida sulla ricetta. Qui si trova sicuramente uno spaghetto che è più adatto di un pacchero nella preparazione di un piatto e viceversa».

Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?

«Come detto alla fine della precedente risposta, il formato e la ricetta sono legati da un filo sottile. In casa, per il piacere personale dei commensali, si cerca di non stravolgere la tradizione di un classico, come possono essere gli spaghetti alla carbonara, mentre invece in cucina è il cuoco che si permette un volo ( si spera non pindarico ) nella creazione di nuovi accostamenti per suscitare stupore e piacere nel contempo».

Come immagina la pasta del futuro Gian Michele Galliano? 

«Al dente! Scherzi a parte, la pasta fa parte della nostra tradizione più profonda, quindi, per quanto la si potrà elaborare, stravolgere, contaminare, continuerà ad esistere ed avrà sempre un posto primario in casa ed in cucina. Diciamo che vedo un più che roseo futuro per essa».

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