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I MOLTI NOMI DELLA PASTA

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“Nel bene o nel male, purché se ne parli”

Le recenti polemiche attorno a La Molisana hanno evidenziato come i retaggi del passato siano ancora ben presenti ai giorni nostri e come la Storia sia sempre pronta ad affacciarsi nella quotidianità, in questo frangente attraverso il mondo della pasta. Sorvolando sulla questione squisitamente politica che dopo quasi cent’anni ancora infervora gli animi, l’occasione è ghiotta per evidenziare quanto si nasconda dietro alla preziosa miscela di acqua e farina.

Il nostro è un paese che in ogni luogo riecheggia di eventi passati, lo testimoniano l’Unesco con le sue numerose attestazioni, i reperti e le opere che affollano i nostri musei e, ancor prima, le pagine dei libri di storia. Che tutto ciò si ripercuota sul nostro oggetto di culto, a ben vedere, ci sembra perfettamente coerente. Già ben conosciuto al tempo dei romani, grandi consumatori di lagane, e da allora declinato e interpretato per tutto l’arco temporale intercorso fino ai giorni nostri, l’oro nostrano si è trasformato e adattato, diventando esso stesso inconsapevole testimone di fatti e vicende. Compagna di gioie e dolori, rassicurante presenza al seguito dei migranti che in ogni tempo hanno lasciato la casa natale, così come protagonista delle tavole imbandite per le ricorrenze più speciali, la pasta è un prodotto che ci è caro, intriso della nostra identità culturale. Portata ovunque dunque, oltreoceano e sul grande schermo, fino a diventare elemento portante della nostra cultura e aver così attratto su di noi coloriti epiteti del calibro di “mangiaspaghetti” che, superfluo dire, non ci offendono affatto.

Alberto Sordi nella celebre scena di “Un americano a Roma”.

Del resto quale sintesi più perfetta di cultura, tradizione e creatività, del dorato, ottimo, boccone? E quale modo migliore di dare dignità a un prodotto così simbolico, se non quello di attribuirgli ulteriore significato?
Ben venga dunque qualunque nome, dalle storiche mafalde sabaude, agli ironici strozzapreti, senza disdegnare i doppi sensi che circondano gli ambigui ditalini; la vera offesa risiede nello scadere nella banalità e sminuire così uno dei prodotti più rappresentativi, nel bene e nel male, della tradizione italiana. Un tema che come avrete capito ci sta a cuore e che da tempo ci vede impegnati nel proporre la storia di ogni formato, dietro al quale si cela molto più di una strategia di marketing.

Abissine, cellentani, strozzapreti e cazzetti: ce n’è per tutti i gusti!

Come si riferiva poco sopra, la genesi del nostro personale feticcio vede l’affermazione delle proprie origini in tempi remoti. Sembra che la discendenza arrivi in linea diretta dalla lagana greco-romana, “laganoz” in greco, così come la stessa parola pasta, da “pastè”, con cui si indicava una sottile sfoglia farcita e cotta al forno.  La pasta secca, lunga o corta, sarebbe invece da far risalire alle trie, o le “itrija” del mondo arabo, che venivano confezionate a Trabia (Palermo). Alberto Capatti e Massimo Montanari, nel loro “La cucina italiana. Storia di una cultura” testimoniano infatti come “nei ricettari arabi la pasta compare già nel IX secolo, e a tale tradizione è verosimilmente collegata la presenza in Sicilia – nella Sicilia occidentale di cultura araba – di manifatture per la sua produzione”.

Una storia antica quella della pasta, che dal momento della sua nascita è diventata il piatto più diffuso e amato tra quanti abbiano calpestato quello che al tempo era soltanto uno stadio embrionale dell’italico suolo. Uno dei primi punti di svolta si ha nel basso Medioevo, quando si diffonde il termine maccheroni, da “maccari”, schiacciare, usato per indicare genericamente tutti i tipi di pasta ottenuti dalla lavorazione della semola di grano duro e poi, nell’Ottocento, per ribattezzare gli spaghetti e assurgere a sinonimo stesso di pasta. Una lunga evoluzione quella intercorsa tra il momento della sua creazione e l’utilizzo ai giorni nostri, basti pensare che tra il XIV e XV secolo si contavano già più di 120 formati. Oggi se ne attestano diverse centinaia, giocoforza che per battezzare ognuno di essi si sia dovuti ricorrere a riferimenti storici, parentesi goliardiche e vari espedienti che alludevano all’attualità del tempo. Impossibile qui non citare le famigerate “abissine” che, come riportato nell’archivio storico di Barilla, devono il loro nome allo storico sbarco nella Baia di Assab del 1882, o i recentissimi “cellentani”, nati per errore di una trafila negli anni ’70 e tributati all’omonimo artista. Si sfiora perfino la leggenda in casi come quello degli “strozzapreti”, in cui si tramanda che le massaie inventarono questo piatto da offrire all’inviso clericale quando esso si recava nelle loro abitazioni per riscuotere i tributi; pietanza così buona, da indurre il malcapitato a ingozzarsi fino a strozzarsi. Infine tutti quei formati la cui etimologia è intimamente legata a usi e dialetti locali, come nel caso degli “scialatielli” che, attingendo dal termine dialettale “scialare”, rievocano momenti di pura spensieratezza; o della pasta, all’opposto estremo, plasmata a seconda delle ricorrenze alle quali è all’uopo destinata, come nel caso dei “cazzetti”, dei quali nomi e forma lasciano poco spazio all’interpretazione.

I “cazzetti”.

Tutto ciò detto, ha davvero senso indignarsi per quei formati percepiti come politicamente scorretti, o il cui nome è stato attinto dalle pagine di storia? A noi sembra più giusto rileggere ogni dato alla luce delle circostanze del tempo e individuare nella pasta un simbolo che trascenda tutto ciò.
La pasta è il manifesto dell’Italia, una nazione che ha vissuto momenti di luce e di ombra come qualunque altra, ma che per sapore ed estro creativo si è sempre distinta tra tutte. Come disse Giuseppe Prezzolini nel suo Maccheroni & C.: “che cos’è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti? L’opera di Dante è il prodotto di un singolare uomo di genio, mentre gli spaghetti son l’espressione del genio collettivo del popolo italiano, il quale ne ha fatto un piatto nazionale. Un australiano non avrebbe capito nemmeno l’armonia, per non dire il senso, di un versetto di Dante, ma il piatto di tagliatelle dovette convincerlo che si trovava di fronte ad una Civiltà”.

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