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RAFFAELE LENZI

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Raffaele Lenzi, chef classe 1984, napoletano, una gavetta che l’ha tenuto impegnato tra Londra e New York prima di tornare a Milano “dopo essersi fatto le ossa”. Qui l’approdo nelle cucine stellate: alla corte di Elio Sironi al Bulgari di Milano; da Pino Lavarra al ristorante Rossellinis di Ravello, quindi da Stefano Baiocco a Villa Feltrinelli sul Garda. Oggi Raffaele Lenzi è Executive chef de Il Sereno Hotel, alla guida dello Stellato Berton al Lago in estate e de Le Sereno St. Barth durante la stagione invernale.

Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria? 

«Gli spaghetti alle vongole, un grande classico della mia terra che a casa mia era presente almeno due volte a settimana. Quando torno a casa chiedo sempre a mia madre di prepararmelo». 

Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio? 

«Sono andato via di casa molto presto, pur amando molto la mia terra e le mie tradizioni gastronomiche non mi ispiro sempre a loro».   

Quali sono, o sono stati, i piatti di pasta più significativi nella tua storia professionale? 

«Sicuramente il Raviolo Ponzu, dove l’impasto del raviolo caprese racchiude un ripieno di ragù di maiale alla Genovese e viene accompagnato da una salsa ponzu. Ma anche lo Spaghetto al burro di pistacchi e rapanelli fermentati».

Tra questi qual è quello che ti rappresenta di più nella tua identità di uomo e di cuoco? E per quale motivo?

«Devo citare ancora una volta il Raviolo Ponzu, un piatto che prende ispirazione dalla mia terra, ma che segna il crocevia verso una cultura gastronomica a cui sono altrettanto legato, quella asiatica». 

Trovi che sia legittima una gerarchizzazione della pasta in base al suo formato? Mi spiego meglio: ritieni che esistano formati più popolari (da trattoria o da bistrò) e altri più elitari (da fine dining)?

«La pasta è un patrimonio immenso che solo noi italiani sappiamo cucinare. Detto questo credo che grazie alla contemporaneità e alla creatività degli chef di oggi, non ci sia un formato di pasta di seria A al cospetto di uno di serie B». 

Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?

«Trovo che ci siano sicuramente dei formati di pasta più adatti di altri per alcuni tipi di salse e accompagnamenti. Io, ad esempio, amo mangiare la pasta ai frutti di mare rigorosamente con uno spaghetto di grano duro. Detto questo, credo si debba comunque sperimentare e far provare anche abbinamenti non sempre ritenuti convenzionali».

Come immagini la pasta del futuro?

«Essendo molto attento a seguire una sana ed equilibrata alimentazione, spero che in un futuro prossimo torneremo ad usare sempre di più le farine non raffinate. Io tutta la pasta fresca la impasto con farine di tipo 1 macinate a pietra che, a mio avviso, oltre a migliorare il sapore, garantiscono un miglior assorbimento dei valori nutrizionali e una più agevole digeribilità».

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