Di Loris Denti Tarzia
Un elemento chiave
Disclaimer: in questo articolo non si parlerà di pasta.
O, almeno, non ci saranno ricette di Chef né descrizioni dettagliate di piatti, men che meno analisi ontologiche su uno dei prodotti più identitari della nostra cultura. A seguito di ciò, verrà lasciato spazio alla parte più pragmatica, se non la più importante, dell’intero processo di produzione del tanto amato carboidrato italiano: la trafilatura.
Dietro la sua apparente semplicità, la pasta nasconde delle metodologie uniche nel suo genere. Tra gli elementi chiave che determinano la sua qualità, la trafilatura emerge come un passaggio fondamentale, spesso sottovalutato ma cruciale per ottenere un risultato eccellente.
In principio
Tutto inizia con l’unione tra una semola selezionata e una percentuale specifica di acqua. Una volta ottenuto l’impasto, quest’ultimo viene spinto per estrusione attraverso una filiera, o matrice, per ottenere le iconiche forme tanto apprezzate. Una volta raggiunta la lunghezza voluta, delle lame rotanti tagliano la pasta, pronta per essere essiccata e confezionata.
Ma questa fase non è solo una questione puramente decorativa. Difatti, la scelta del materiale influenza sì la texture finale del prodotto, ma funge anche da linea guida per il consumatore finale. L’uso di una determinata trafila può essere quindi sinonimo di pregi o difetti.
Il teflon: uno stendardo industriale
Resistenti all’usura, le trafile in teflon sono ampiamente usate nei pastifici dove la produzione è elevata e su larga scala. Altra scelta che affianca l’utilizzo di questa matrice è un’essiccazione a temperature elevate, atte a velocizzare le tempistiche.
Tuttavia, esistono anche realtà più piccole che combinano la trafilatura al teflon con essiccature a temperature più basse: scopo ultimo è quello di preservare alcune delle caratteristiche positive della pasta artigianale.
Difatti, nutrizionalmente parlando, questo tipo di prodotto tende ad avere valori mediamente più bassi, influenzati non solo dalle fasi di lavorazione ma anche dalla qualità della semola impiegata, che talvolta può essere inferiore.
Dal punto di vista economico, il costo del prodotto finito è mediamente inferiore rispetto alle altre offerte di mercato, ma è comunque importante considerare che la qualità e il valore nutrizionale della pasta sono sempre in relazione al prezzo finale.
La trafilatura in bronzo: un metodo ancestrale
La trafila ante litteram per eccellenza: un componente che, assieme al torchio in legno, risulta essere tra i più antichi, riportato su documentazioni storiche ufficiali del XVII secolo.
Grazie alla superficie ruvida di questa lega, si ottiene una superficie porosa e una consistenza più appagante. Inoltre, la trafilatura in bronzo produce una pasta più resistente alla cottura, mantenendo una consistenza al dente anche dopo la preparazione. Questo metodo tradizionale richiede più tempo rispetto alla trafilatura moderna; complici le bassissime temperature usate durante i cicli di essiccatura.
Il risultato finale è un prodotto dal colore più opaco, con anche un ottimo apporto nutrizionale: un alto contenuto di fibre, un buon valore proteico e una maggior presenza di vitamine e sali minerali. Ovviamente, il costo finale è quasi sempre sopra la media.
La trafila in oro: la pasta aurea
Nata dalle abili mani del pastificio Verrigni, la trafila placcata in oro calca tuttora i palchi gastronomici fin dal 2007. Un altro pastificio che firma i suoi prodotti col pregiato materiale è Uno.61: un nome che mette in risalto lo studio e le conoscenze di Raimondo Mendolia sulla proporzione aurea. Questo prezioso metallo, durante l’estrusione, conferisce alla pasta caratteristiche uniche: maggiore tenacità, rilascio generoso di amido e un profumo distintivo di grano.
L’impasto di semola e acqua attraversa gli inserti d’oro con dolcezza. A seguito della trafilatura, dopo un periodo in cui la pasta riposa, si passa ad un processo di essiccazione molto lento: fino a 60 ore a seconda della tipologia, e a bassa temperatura, tra i 45 e 50 gradi. Scopo ultimo è quello di conservare al meglio la complessa struttura amidacea.
L’impasto di semola e acqua attraversa gli inserti d’oro con dolcezza, mitigando l’attrito rispetto al bronzo, per una superficie esterna ancora più porosa.