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NICOLÒ SALVAGNIN

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Giovanissimo, Nicolò Salvagnin è l’executive chef dell’Hotel Cré Forné di Champoluc, Valle d’Aosta. Dopo una lunga esperienza presso le cucine del ristorante stellato Da Gorini, Nicolò ha scelto di trasferirsi in Romagna e diventare il sous chef del ristorante stellato a Bagni di Romagna. Qui, impara nuove tecniche e a calibrare le parti acide e amare nei piatti. Completano il suo percorso di formazione esperienze in laboratori di macellerie e pasticceria.

Qual è il primo piatto di pasta di cui hai memoria, quello che cucinava tua madre?

«Sicuramente lo gnocco al pomodoro è il mio piatto preferito, un piatto che faceva mio nonno. Un ricordo dell’infanzia. Oltre a questo piatto, c’è il sapore del fegato alla veneziana, che me lo dava da neonato. Poi resta sempre il ricordo della pasta stracotta con la besciamella presentata in una ciotola con tonno in scatola e parmigiano. Un piatto che ho riprovato a fare qualche tempo fa per far rivivere il ricordo. »

Quanto la tua zona di origine ha forgiato il tuo repertorio?

«In realtà poco, perché ho lavorato sempre fuori dal Veneto. Mi sono concentrato molto in Romagna. Lì, mi sono formato sulla pasticceria e soprattutto sul taglio delle carni. La mia non è dunque  una formazione tecnica professionale con stage ma proprio fattiva, sul campo.»

Tra questi qual è quello che ti rappresenta di più nella tua identità di uomo e di cuoco? E per quale motivo?

«Da Gorini senza dubbio l’elica, un piatto di fusilli con lumache di mare, finocchio marino e buccia bergamotto fermentata. Era uno dei piati che facevo e che ho amato da subito. Un piatto che mi ha ispirato in tutto soprattutto perché ero all’inizio del mio percorso. Poi c’è il torello con salignon. La Romagna e la Valle d’Aosta in un piatto. Molto goloso. E poi c’è una delle mie ultime espressioni che vedono l’impiego dei tagliolini serviti “all’orientale” ossia in una ciotola e con bacchette, accompagnati con un brodo di trota e salmerino. »

tortello con salignon

Che tipo di pasta proponi nel tuo ristorante? E, se la acquisti, da quali produttori ti rifornisci?

«Uso Felicetti e Regina dei Sibillini per quanto riguarda la pasta secca. Quanto alla pasta fresca, prediligo capellini e agnolotti alle erbe o di carne che facciamo noi. Ho la fortuna o sfortuna, di dover cambiare molto spesso il menù, tra la baita Belvedere, il ristorante e il bistrot, gli ospiti devono poter trovare una cucina sempre diversa. Solo il pranzo resta fisso.»

Liscia o rigata?

«Rigata…»

Formato e condimento: il loro rapporto è delicato, percepito quasi come un vincolo. È il formato della pasta a determinare il condimento, oppure il cuoco è libero di fronte a quello che, a livello domestico, può esser considerato un vero e proprio tabù?

«Quando è di qualità, e qualsiasi sia il formato, è compito dello chef omaggiare la pasta e rendere la ricetta conforme a quello che si vuole ottenere. Ciò che penso, lo creo nel piatto. È come se mi mettessi al servizio del formato per caratterizzarlo al meglio che posso. Per me non non ci sono formati di serie A o serie B.»

«Ci sono un po’ di regole fisse che apprendi quando inizi a cucinare, in un piatto di spaghetti alle zucchine, le verdure dovranno essere tagliate alla julienne. Ma sono convinzioni ancorate agli anni ottanta. Oggi la cucina e libertà espressione, si possono infrangere vecchie regole e interpretarle con una propria visione. L’omologazione è la morte della creatività.»

Come immagini la pasta del futuro?

«In pillole. Una pasta secca minimal e veloce.»

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