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Lunga, ripiena o rigata: i formati preferiti degli chef

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di Serena Sparagna

Percorrendo le navate bianche di un qualsiasi museo di arte contemporanea, dal MoMa sulla 53esima a New York al Museo del ‘900 che troneggia a un lato di piazza Duomo a Milano, qualcuno avrà sicuramente bisbigliato “Sarei capace di farlo anche io”. Così, davanti ad un piatto di alta cucina che escluda incredibili giochi di prestigio come l‘acqua di pomodoro dove “c’è ma non  si vede”, la pasta e le sue più classiche declinazioni rappresenta il vessillo gastronomico di chef stellati e non.

La pasta ripiena

Nel mare magnum dei formati proposti dalla tradizione culinaria italiana, la pasta ripiena è protagonista imprescindibile di un menu ben studiato e unico vero test che ogni chef è tenuto a sostenere. Ravioli o plin non importa, purché il contenuto sia in perfetto equilibrio con la sfoglia sottile. Leggendari, i tortellini di Massimo Bottura. Che camminino sul brodo o che danzino in deliziosa crema di latte, si tratta di un Pollock di consistenze, una perfetta intersezione dei sapori, un gomitolo di linee sensoriali e percezioni gustative volte a comporre e completare l’opera. Una convivenza fragilissima tra contenitore e contenuto quella del raviolo di pomodoro confit e stracciatella di Giuseppe Lisciotto. Qui gli ingredienti cardine della tradizione italiana vengono elevati a piatto d’autore in un connubio tra la dolcezza dei datterini racchiusi in uno scrigno di pasta sottile ma che si conserva tenace al morso.

Tortellini tradizionali in crema di Parmigiano Reggiano, di Massimo Bottura.

i formati lunghi

Ancora, la Devozione. No, non parliamo di un affresco rinascimentale in un museo a Roma. Ma degli iconici spaghetti di Peppe Guida. Lo chef stellato la spesa non la fa. Coglie i pomodori nell’orto di Donna Rosa. Nella salsa vermiglia che borbotta in padella, vengono aggiunti gli spaghetti come graffi distorti su una tela fontaniana. Incredibile Bufala bufala bufala di Marco Rispo. Come un Monet che dipinge le sue adorate ninfee nelle diverse ore del giorno così Marco Rispo declina lo stesso ingrediente in tre modi differenti per carpire le diverse sfaccettature, sapori e consistenze.

spaghetto bufala
Spaghetto bufala, bufala, bufala, di Marco Rispo.

E che dire del cubismo perfetto di Luciano Monosilio. Anche qui, regina incontrastata la pasta lunga. Come tocco finale, il guanciale tagliato in pezzi identici per una cottura uniforme. Seguono emblematici gli spaghetti di Riccardo Camanini con burro e lievito. Il file ruouge sta nella mantecatura, In cucina, si sa, un minuto dura un’eternità e il religioso rispetto delle tempistiche spesso sancisce il trionfo dal disastro.

Spaghettone burro e lievito di Riccardo Camanini.

La pasta rigata

Poi ci sono loro, grossi, goduriosi e boteriani: i formati di pasta corta. Ingombranti alla vista, racchiudono e intrappolano il sugo per un abbraccio di sapori all’assaggio. La menzione d’onore ovviamente va al signature del tristellato Da Vittorio. Seguono il Sushi all’italiana di Roberto Proto dove calamarata di Gragnango strizza l’occhio all’Oriente con il suo ripieno di tonno rosso e ancora Maccheroncino, cipolla bianca, rapa rossa e anguilla affumicata di Alessandro Rossi. Qui gli ingredienti della tradizione si uniscono a quelli orientali della salsa di soia e salsa teriyaki.

Maccheroncino, cipolla bianca, rapa rossa e anguilla affumicata di Alessandro Rossi.

Immancabile, la regina che sta dominando le scene gastronomiche nel 2023: sua maestà la pasta in bianco. Non esiste adulto o bambino che non l’abbia assaggiata o preparata. Magistrale, quella di Alberto Quadrio. Al Portrait di Milano lo chef realizza il piatto con due ingredienti: Parmigiano Reggiano 36 mesi e fusilli rigati. O ancora  tra le proposte meneghine quella dallo chef Luca Natalini con decotto di alloro.

Se lo scopo dell’arte è quello di smuovere coscienze e spingere a fare domande, quello della cucina è altrettanto nobile. Ogni chef ha iniziato facendo capolino in cucina mentre qualcosa bolliva in pentola la domenica. Profumi e aromi primordiali, pellegrinaggi gastronomici alla ricerca della propria filosofia di cucina. Lo studio coadiuvato in piatti diventati iconici nella loro semplicità. Nulla è più ambizioso dell’emanazione del superfluo per raggiungere l’eccellenza. Prerogativa del cuoco non è la semplice trasformazione da crudo a cotto. Ma la lavorazione dell’ingrediente più semplice fino alla sua elevazione.

Compito dell’alta cucina è utilizzare i suoi ingredienti come provocazione. Partendo da tradizioni, riformandole e plasmandole in idee nuove, avendo il coraggio di percorrere strade poco battute.

Se dunque destinati a diventare signature sono preparazioni dalle materie prime semplici, poco raffinate, ciò che le esalta è la tecnica e il messaggio che vogliono portare. Un messaggio che fa riflettere, smuove le opinioni e che dunque centra l’obiettivo. Se davanti ad una portata all’apparenza semplice nell’esecuzione si è esclamato “Potevo farlo anche io”, tornando a casa e ripensando al gusto ci si è spesso chiesti “Davvero potrei?”

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